Francesco Gorgone si anima quando parla dell’OFS. Questa animazione è più che legittima. Francesco Gorgone ha creato, con la sua tenacia di organizzatore e con la sua fede nel cinema regionale la magnifica realtà che si chiama OFS, cioè a dire il cinema siciliano.
Il 16 gennaio 1881 nasce a Messina Febo Mari, nome d’arte di Alfredo Giovanni Leopoldo Rodriguez, messinese, pioniere della recitazione cinematografica, teatrale, nonché sceneggiatore e regista siciliano.
Figlio di Giovanni e Teresa Spadaro, Febo Mari (pseudonimo di Alfredo Rodriquez), nacque da una famiglia aristocratica, i Rodriquez, baroni di lontane origini iberiche e tra le famiglie più abbienti della città dello Stretto a tutt’oggi.
Nato a Palermo il 25 marzo 1982, Francesco Scianna muove i suoi primi passi recitativi a teatro, da adolescente, al tempo del Liceo Scientifico G. Galilei. La sua prima volta fu a quindici anni, nel 1997, in un recital di poesie di Salvatore Quasimodo di cui Scianna dipinse un ricordo esilarante in un’intervista del 2018 al magazine “Grazia”:
Nell’ambito divulgativo della cultura cinematografica, ASCinema ha incontrato Daniela Giordano, un’attrice in auge tra gli anni Sessanta e Settanta, nota nei generi del nostro cinema, incluse diverse coproduzioni italo-spagnole, nonché musa nell’incursione di Mario Bava nella commedia sexy all’italiana Quante volte… quella notte (1972), esempio preclaro di cinema felicemente intrecciato con elementi scenografici densi di estetica e design.
Nata a Messina il 27 luglio 1968, la carriera da attrice di Maria Grazia Cucinotta nasce quasi per caso. Eppure, ironia della sorta, il cinema e la passione per il cinema sono sempre stati nel suo destino. Trasferitasi a Milano dopo il diploma in analisi contabili, la Cucinotta muove i primi passi nel mondo della moda finché, nel 1987, partecipa al concorso di Miss Italia presentandosi come Miss Cinema Sicilia (per l’appunto! ndr). Non vincerà quell’edizione. L’ambita corona andrà a Michela Rocco di Torrepadula. Ma sarà la vincitrice morale.
Per strada quell’inconfondibile “caschetto” lo si poteva individuare a colpo d’occhio, persino tra quelle immense folle di persone, oceaniche per quanto numerose. Come quelle riversatesi decenni addietro sulle strade di Palermo, ai tempi delle stragi e delle varie manifestazioni contro la mafia. Sigaretta tra le dita e macchina fotografica appesa al collo. Sempre.
Nato a Palazzo Adriano l’8 novembre 1979, a soli 8 anni Salvatore Cascio vinse una selezione durissima diventando volto e corpo scenico del Salvatore “Totò” Di Vita di Nuovo Cinema Paradiso (1989) di Giuseppe Tornatore. Da totale neofita Cascio dimostrò cuore, passione, e una mimica dolce ed intensa che lo fece entrare nel cuore di critica e pubblico, cinefili e non. Di sicuro non passò inosservato Cascio, tanto da arrivare a vincere il BAFTA 1991 per il Miglior attore non protagonista. Ciliegina su una sorta di un’annata magica per Nuovo Cinema Paradiso che dopo il Grand Prix du Jury a Cannes 1989 e il trionfo statunitense tra Oscar e Golden Globe del 1990, spadroneggiò ai BAFTA con 11 nomination e 5 vittorie (tra cui Miglior film straniero, Miglior attore protagonista, e Miglior colonna sonora).
Per Cascio inizia così un periodo parecchio fruttuoso in termini artistici (specie considerando la giovane età). Sono questi gli anni di Diceria dell’untore (1990) di Beppe Cino, C’era un castello con 40 cani (1990) di Duccio Tessari, Stanno tutti bene (1990) dove torna ad essere diretto da Tornatore, Il ricatto 2 (1990) di Vittorio De Sisti, Il mio papa è il Papa (1991) di Peter Richardson, Jackpot (1992) di Mario Orfini, Festival (1996) di Pupi Avati. Nel mezzo, L’orso, un 45 giri inciso con Fabrizio Frizzi nel 1992. Dopo circa tre anni, nel 1999, torna al cinema con Il morso del serpente, di Luigi Parisi e Enzo, domani a Palermo!, di Ciprì e Maresco.
Da quel momento in poi – eccetto che per il film televisivo Padre Speranza (2005) di Ruggero Deodato – Cascio si è indirettamente ritirato dal mondo del cinema. Le sue uniche partecipazioni, fino ad adesso, corrispondono a Protagonisti per sempre (2014) di Mimmo Verdesca e A occhi aperti (2021) di Mauro Mancini dove racconta di sé stesso tra passato e presente. Nel chiarire le ragioni dietro alla “sparizione” di Cascio dal cinema che conta ci viene incontro proprio l’autobiografia scritta dallo stesso Cascio assieme al giornalista Giorgio De Martino per Baldini + Castoldi editore: La gloria e la prova (2022).
Tra le pagine dell’opera letteraria Cascio racconta di sé attraverso preziosi aneddoti di cinema e di vita in un resoconto cronologico nella forma della lettera-confessione, e non solo. È l’occasione soprattutto per parlare apertamente della retinite pigmentosa. Patologia critica che colpì Cascio da giovanissimo costringendolo a fare i conti, sin da subito, con l’amara fatalità del destino. Nonostante tutto però Cascio vede il cinema come un gioco per adulti:
“A quell’età i soldi e la fama possono creare delle situazioni sbagliate. Di quelle in cui si perde il gusto della vita, del gioco, della novità, dell’essere creativo e spontaneo. Io sono stato fortunato, ero sotto la guida di Peppuccio (Tornatore ndr) e mi ha aiutato.”
Deve tutto a Tornatore. Amicizia, sincerità, riconoscenza. Più che un regista una figura paterna:
“Ho fatto una decina di film e ho lavorato con diversi registi, ma Tornatore è Tornatore. È andato a prendere un bambino di otto anni che giocava per strada con i suoi amici a Palazzo Adriano per affidargli un ruolo fondamentale. Ha creduto in me e nel mio talento”.
Oggi è un uomo rinato Cascio, felice, e dall’equilibrio interiore ben saldo:
“È un punto di (ri)partenza per tante cose. La libertà di non avere più paura. Oggi guardo alla retinite pigmentosa come un valore aggiunto e lo dico con forza. Ho ripreso davvero in mano la mia vita. E voglio dire una cosa: nella mia sfortuna sono stato fortunato”.