Nino Martoglio ebbe tutte le effervescenti qualità di una personalità che fu multipla e trascinante, capace di spaziare in più campi, esempio ante litteram di uomo di cultura e di spettacolo quale sempre più esigono gli odierni multi-media, quanto di vedere cosa effettivamente resta di un autore che la più recente critica tende ad ignorare, sia perché legato a un repertorio piuttosto localizzato, sia perché legato alle prestazioni di alcuni grandi attori del passato.
A chi, della mia età, legge o rilegge Il riso di Bergson, si dispiega un ventaglio d’immagini che sono in minima parte memoria di situazioni e personaggi della vita reale, ma quasi tutte appartengono al mondo dello spettacolo teatrale e cinematografico e trovano, nel saggio di Bergson, una quasi indefettibile evocazione. In prevalenza sono evocazioni mute, di quando il cinema non parlava o di quando, pur disponendo della parola, il comico continuò – e continua – a consistere soprattutto negli atteggiamenti, nei movimenti, nei gesti di un essere umano e «in quell’esatta misura in cui tale essere appare simile a un meccanismo».
Una complessità di rapporto che a sua volta riflette la natura stessa dell’arte di Brancati, autore solo in apparenza facile e di piana interpretazione, ma ricco, in realtà, di un mondo di difficile penetrazione, nel quale la celebrata “solarità” mediterranea – luogo comune del quale sarebbe tempo di fare giustizia – fa spesso da scherno ad un oscuro sentimento di morte, e l’ironia è il risvolto di un’amara consapevolezza, rifugio frequente di una visione del mondo disincantata e pessimistica.
Entrambi nativi di Palermo, i primi vagiti artistici di Daniele Ciprì (1962) e Franco Maresco (1958) del duo Ciprì e Maresco risalgono alla fine degli anni Ottanta con la trasmissione Interno notte (1989) ideata dagli stessi Ciprì e Maresco e da Umberto Cantone, in onda sull’emittente palermitana TVM – TeleVideoMarket. Dall’incontro nascerà il sodalizio che darà vita a Cinico TV (1992-1996). Una sperimentazione pionieristica di forte innovazione del linguaggio televisivo che nell’esasperare l’approccio giornalistico divenne inatteso precursore nei nostri tempi mediatici sullo sfondo di una Sicilia desolata e desolante, maschilista e arretrata, dipinta di un poetico e sgraziato bianco e nero.
L’occhio registico di Ciprì e Maresco, giovane ma già dalla corposa visione, si permea di un orrore involontario ma puro nel dar vita a uno spettacolo osceno malinconicamente comico di emarginazione e sofferenza; incapacità di reagire e accettazione passiva della propria condizione. Uomini agli angoli più remoti della società siciliana semi-analfabeti, freaks deliranti, illogicamente (dis)umani, che contribuirono a dare a Cinico TV un fascino tutto suo, unico e originale, indelebile al mutare del tempo, così da incastonarlo tra le gemme audiovisive del suo tempo. Con Cinico TV Ciprì e Maresco si fecero notare. Approdarono prima nelle reti Fininvest col programma Isole comprese, poi in Rai con Blob e Fuori Orario. Cose (mai) viste, realizzando infine preziosi cortometraggi che trovarono il proprio apice produttivo-artistico nel proficuo 1992 di Variazioni in collaborazione con Amos Gitai, Il corridore della paura con Samuel Fuller e Martin a little con Martin Scorsese.
Le atmosfere di Cinico TV furono fonte d’ispirazione anche per i primi passi cinematografici del duo palermitano. È del 1995 infatti quel Lo zio di Brooklyn la cui a-linearità intrisa di pernacchie, atti sessuali tra contadini e asine, nani mafiosi e una Palermo distopica e apocalittica, seppe consolidare l’immaginario registico di Ciprì e Maresco nel suo alone onirico dal sapore surreale. Tre anni dopo fu la volta de Totò che visse due volte, il capolavoro del duo dalle atmosfere grottesche non dissimili dal critico (e cinico) predecessore, nonché clamoroso caso mediatico. Per la Censura infatti Totò che visse due volte era un’opera che non poteva e non doveva arrivare nelle sale cinematografiche. L’accusa rivolta al racconto episodico di Ciprì e Maresco era di vilipendio alla religione e tentata truffa. Ma ciò su cui la Censura puntò il dito rappresentò in realtà il riflesso allegorico di una narrazione escatologica trasudante materialismo e un nichilismo ora nietzschiano nella misura della morte di Dio, ora dostoevskiano in relazione al male di vivere degli uomini soffocato violentemente dalle loro stesse azioni; o per dirla con le parole degli stessi Ciprì e Maresco.
“È il sentimento di chi si sente abbandonato. Di un’umanità affranta che sente la mancanza di Dio”.
Dal processo il duo ne uscì indenne ma la Censura lo vietò ai minori di 18 anni. Un divieto irresistibile per Ciprì e Maresco che arrivarono a definirlo una vittoria:
“Ci avevano chiesto di alleggerire un paio di scene, soprattutto quella in cui appare la Madonna con le natiche nude. Ma noi, insieme all’avvocato Calvi e al produttore, abbiamo detto un secco no. Ci sembrava assurdo che un adulto, che so, Norberto Bobbio o il presidente Scalfaro, non potessero vedere interamente la nostra opera. Noi non siamo degli autori cinematografici come gli altri, siamo davvero fuori dall’industria. Noi facciamo quello che vogliamo e poi ne discutiamo. Del resto non abbiamo mai avuto problemi né quando lavoravamo con la Rai né quando abbiamo fatto questo film”.
Gli anni Novanta di Ciprì e Maresco si chiusero con Intervista a Mario Monicelli (1998), F. (1999) in collaborazione con Peter Bogdanovich, il documentario semi-biografico Enzo, domani a Palermo! (1999) sulle vicende giudiziarie dell’operatore cinematografico Enzo Castagna, nonché una doppia ode d’amore al jazz di Duke Ellington e alle sue sonorità tra Noi e il Duca – Quando Duke Ellington suonò a Palermo e Steve Plays Duke (1999) con protagonista il sassofonista Steve Lacy.
Gli ultimi lavori del duo risalgono ai primi anni Duemila con il surreale e sognante mockumentary meta-cinematografico dal titolo Il ritorno di Cagliostro (2003) ma soprattutto con il toccante omaggio a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia del duo comico Franco e Ciccio dal titolo Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio (2004). Mescolando materiale di repertorio degli archivi Rai a sketch comici e siparietti alla maniera di Cinico TV, con Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio Ciprì e Maresco unirono a uno stile documentaristico rodato, gag dalle venature nostalgiche avvalendosi perfino della partecipazione di personalità come Tatti Sanguineti, Pippo Baudo, Lino Banfi, Lando Buzzanca e Bernardo Bertolucci.
Un ultimo sussulto degnamente celebrato nella Menzione speciale al premio Pasinetti alla 61° Edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che scrisse la parola fine a un sodalizio artistico ventennale artisticamente impareggiabile capace di cambiare per sempre – e come nessun altro – la percezione del cinema siciliano in Italia e nel mondo. Di lì in avanti Ciprì e Maresco sono tornati ad essere Daniele Ciprì e Franco Maresco. Non più quindi un’unica, inseparabile, entità registica, ma due voci autoriali indipendenti e non più compenetranti che tra È stato il figlio e La buca (Ciprì), e Belluscone – Una storia siciliana e La mafia non è più quella di una volta (Maresco) continuano a viaggiare come due rette parallele nell’involontario orrore sociale tra fiction e realtà.
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Francesco Gorgone si anima quando parla dell’OFS. Questa animazione è più che legittima. Francesco Gorgone ha creato, con la sua tenacia di organizzatore e con la sua fede nel cinema regionale la magnifica realtà che si chiama OFS, cioè a dire il cinema siciliano.
Il 16 gennaio 1881 nasce a Messina Febo Mari, nome d’arte di Alfredo Giovanni Leopoldo Rodriguez, messinese, pioniere della recitazione cinematografica, teatrale, nonché sceneggiatore e regista siciliano.
Figlio di Giovanni e Teresa Spadaro, Febo Mari (pseudonimo di Alfredo Rodriquez), nacque da una famiglia aristocratica, i Rodriquez, baroni di lontane origini iberiche e tra le famiglie più abbienti della città dello Stretto a tutt’oggi.
Nato a Palermo il 25 marzo 1982, Francesco Scianna muove i suoi primi passi recitativi a teatro, da adolescente, al tempo del Liceo Scientifico G. Galilei. La sua prima volta fu a quindici anni, nel 1997, in un recital di poesie di Salvatore Quasimodo di cui Scianna dipinse un ricordo esilarante in un’intervista del 2018 al magazine “Grazia”:
Nell’ambito divulgativo della cultura cinematografica, ASCinema ha incontrato Daniela Giordano, un’attrice in auge tra gli anni Sessanta e Settanta, nota nei generi del nostro cinema, incluse diverse coproduzioni italo-spagnole, nonché musa nell’incursione di Mario Bava nella commedia sexy all’italiana Quante volte… quella notte (1972), esempio preclaro di cinema felicemente intrecciato con elementi scenografici densi di estetica e design.