Si legge, quasi all’inizio dei Quademi di Serafino Gubbio operatore, di «un signore venuto a curiosare», dalla faccia «gracile, pallida, con radi capelli biondi; occhi cilestri, arguti; barbetta a punta, gialliccia, sotto la quale si nascondeva un sorrisetto, che voleva parer timido e cortese ma era malizioso».
Apriamo con un flashback: con l’immagine di Giovanni Verga che, negli ultimi vent’anni circa della sua lunga esistenza (1840-1922), appare completamente immerso – per usare espressioni che saranno poi di Vitaliano Brancati e di Ercole Patti – nella sonnolenza, nel “miele torpido” della provincia siciliana, della natìa Catania, dove egli si era trasferito definitivamente nel 1893.