LUIGI PIRANDELLO. UNA CERTA IDEA DI CINEMA

Si legge, quasi all’inizio dei Quademi di Serafino Gubbio operatore, di «un signore venuto a curiosare», dalla faccia «gracile, pallida, con radi capelli biondi; occhi cilestri, arguti; barbetta a punta, gialliccia, sotto la quale si nascondeva un sorrisetto, che voleva parer timido e cortese ma era malizioso».

    Questo signore, che parla con l’operatore Serafino, considerando la sua funzione assolutamente inutile, o comunque superflua, si può considerare e l’alter ego dello stesso Serafino, cioè (come rivela anche la descrizione fisica) lo stesso Luigi Pirandello, «venuto a curiosare» – come, d’altra parte, tante volte egli aveva davvero fatto – in uno studio cinematografico, poiché, in effetti, egli di cinema si interessò in tutta la sua esistenza.

    Questa considerazione, probabilmente, vale da sola a dare la misura iniziale su Pirandello e il cinema. In verità, l’argomento non sembrerebbe tra i più nuovi ed i più originali. Ma, forse, solo apparentemente.

    A ben guardare, a parte i contributi – anche importanti – che, però, esaminano solo aspetti specifici del rapporto Pirandello-cinema, a parte articoli e saggi, pubblicati in riviste, in atti di convegno e/o in volumi di vari autori, uno dei libri tra i più complessivi sull’argomento è Pirandello e il cinema, risalente al 1978, che raccoglie gli Atti del Convegno di Agrigento del dicembre 1977.

    Il presente testo non pretende, certamente, di offrire sconvolgenti scoperte, ma si prefigge uno scopo più modesto, anche se ugualmente ambizioso: quello, cioè, di fare il punto – a tutt’oggi – sulla questione Pirandello-cinema, di fornire, insomma, una visione d’insieme aggiornata e scientificamente valida di tale rapporto, attraverso una serie di contributi di qualificati studiosi, ciascuno dei quali esamina un aspetto specifico di questo rapporto complesso e contraddittorio, forse anche all’insegna dell’ambiguità, ma – certamente – ricco e vitale: dalla prima importante «teorizzazione, del mondo del cinema, costituita dai Quademi di Serafino Gubbio operatore (cui sono dedicati, in modo particolare, i saggi di Guido Aristarco e Gaetano Caponetto), alla terminologia prettamente e tecnicamente cinematogtafica, che egli adopera negli stessi Quaderni e in altre opere (Sergio Raffaelli), alla teoria pirandelliana musica-cinema (esaminata in modo particolare nel saggio di Ermanno Comuzio, ma anche in quello di Pietro Frassica, che si è avvalso dell’epistolario inedito Marta Abba-Pirandello).

    Ed ancora: l’analisi del soggetto cinemarografico Giuoca, Pietro!, da cui venne tratto il film Acciaio di Walter Ruttmann (Cinzia Baldazzi e Rosario Castelli) e la sceneggiatura (poi non realizzata), tratta dai Sei personaggi in cerca d’autore (Rossano Vittori).

    Numerosi sono – d’altra pate – i progetti di Pirandello per il cinema, poi non realizzati, esaminati nei saggi di Alberto Farassino, Tullio Kezich, Alfredo Barbina; quest’ultimo, inoltre, si sofferma sul rapporto di Pirandello con la Cines, cui è dedicato, in modo più specifico, anche il saggio di Francesco Bolzoni.

    Naturalmente, viene anche effettuato un capillare raffronto tra le tre versioni de Il fu Mattia Pascal (Antonio Costa), mentre il rapporto Sciascia-Pirandello, determinato proprio dalla visione del film di Marcel L’Herbier, è esaminato, in maniera più specifica, da Antonio Di Grado; Massimo Cardillo, poi, effettua un accurato raffronto con le tre versioni dell’Enrico IV, cui si aggiunge l’analisi dell’interpretazione di Osvaldo Valenti dell’Enrico IV di Giorgio Pàstina (Roberto Lanzafame).

    E vi sono anche le analisi di due film a soggetto considerati perduti, Cinci di Michele Gandin (Sergio Micheli) e Lo scaldino di Augusto Genina (Sebastiano Gesù), la disamina dei film tratti dalle novelle pirandelliane (Nila Noto), quella della concezione di Pirandello relativamente al teatro e al cinema (Pasquale Licciardello), un saggio sa Kaos dei fratelli Taviani (Gavriel Moses), la ricostruzione immaginaria dell’incontro di Pirandello con Erich von Stroheim (Gesualdo Bufalino), quello effettivamente avvenuto, e documentato, con Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (Maurizio Del Ministro), che esamina anche gli echi e gli influssi di Pirandello sul cinema contemporaneo), i rapporti di Pirandello con Francesco Di Cocco (Mario Verdone), una visione d’insieme del clima culturale dell’epoca (Sarah Zappulla Muscarà) ed un saggio complessivo sui registi “pirandelliani” (Sebastiano Gesù).

    E, per concludere, non si può non accennare alla ricca ed accurata Filmografia completa (Sebastiano Gesù) e alla particolareggiata e meticolosa Bibliografia (Nino Genovese).

    Il rapporto di Pirandello con il cinema fu davvero complesso, forse ambiguo e contraddittorio, ma anche variegato e costante, a dimostrazione di un interesse vivo, autentico, sincero, che caratterizzò tutta la sua esistenza, di un desiderio sentito di intervenire con le sue idee, i suoi progetti, le sue innovazioni, di dare – insomma – un personale apporto ed un valido contributo allo sviluppo del cinema sul versante «artistico». Ma tutto ciò rivela anche – e non è un particolare di secondaria importanza – che Pirandello ebbe «una certa idea del cinema», nient’affatto… tradizionale e/o «scontata», ma – anzi – innovativa, originale, in perfetta sintonia con la sua personalità eclettica, che spaziò in tutti i campi dell’arte, con la sua concezione della vita, con la sua arte.

MARIO PATANÈ

Estratto da: La musa inquietante di Pirandello: il cinema, Incontri con il cinema, Acicatena, Nino Genovese e Sebastiano Gesù, Bonanno Ed. 1990

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