Entrambi nativi di Palermo, i primi vagiti artistici di Daniele Ciprì (1962) e Franco Maresco (1958) del duo Ciprì e Maresco risalgono alla fine degli anni Ottanta con la trasmissione Interno notte (1989) ideata dagli stessi Ciprì e Maresco e da Umberto Cantone, in onda sull’emittente palermitana TVM – TeleVideoMarket. Dall’incontro nascerà il sodalizio che darà vita a Cinico TV (1992-1996). Una sperimentazione pionieristica di forte innovazione del linguaggio televisivo che nell’esasperare l’approccio giornalistico divenne inatteso precursore nei nostri tempi mediatici sullo sfondo di una Sicilia desolata e desolante, maschilista e arretrata, dipinta di un poetico e sgraziato bianco e nero.
L’occhio registico di Ciprì e Maresco, giovane ma già dalla corposa visione, si permea di un orrore involontario ma puro nel dar vita a uno spettacolo osceno malinconicamente comico di emarginazione e sofferenza; incapacità di reagire e accettazione passiva della propria condizione. Uomini agli angoli più remoti della società siciliana semi-analfabeti, freaks deliranti, illogicamente (dis)umani, che contribuirono a dare a Cinico TV un fascino tutto suo, unico e originale, indelebile al mutare del tempo, così da incastonarlo tra le gemme audiovisive del suo tempo. Con Cinico TV Ciprì e Maresco si fecero notare. Approdarono prima nelle reti Fininvest col programma Isole comprese, poi in Rai con Blob e Fuori Orario. Cose (mai) viste, realizzando infine preziosi cortometraggi che trovarono il proprio apice produttivo-artistico nel proficuo 1992 di Variazioni in collaborazione con Amos Gitai, Il corridore della paura con Samuel Fuller e Martin a little con Martin Scorsese.
Le atmosfere di Cinico TV furono fonte d’ispirazione anche per i primi passi cinematografici del duo palermitano. È del 1995 infatti quel Lo zio di Brooklyn la cui a-linearità intrisa di pernacchie, atti sessuali tra contadini e asine, nani mafiosi e una Palermo distopica e apocalittica, seppe consolidare l’immaginario registico di Ciprì e Maresco nel suo alone onirico dal sapore surreale. Tre anni dopo fu la volta de Totò che visse due volte, il capolavoro del duo dalle atmosfere grottesche non dissimili dal critico (e cinico) predecessore, nonché clamoroso caso mediatico. Per la Censura infatti Totò che visse due volte era un’opera che non poteva e non doveva arrivare nelle sale cinematografiche. L’accusa rivolta al racconto episodico di Ciprì e Maresco era di vilipendio alla religione e tentata truffa. Ma ciò su cui la Censura puntò il dito rappresentò in realtà il riflesso allegorico di una narrazione escatologica trasudante materialismo e un nichilismo ora nietzschiano nella misura della morte di Dio, ora dostoevskiano in relazione al male di vivere degli uomini soffocato violentemente dalle loro stesse azioni; o per dirla con le parole degli stessi Ciprì e Maresco.
“È il sentimento di chi si sente abbandonato. Di un’umanità affranta che sente la mancanza di Dio”.
Dal processo il duo ne uscì indenne ma la Censura lo vietò ai minori di 18 anni. Un divieto irresistibile per Ciprì e Maresco che arrivarono a definirlo una vittoria:
“Ci avevano chiesto di alleggerire un paio di scene, soprattutto quella in cui appare la Madonna con le natiche nude. Ma noi, insieme all’avvocato Calvi e al produttore, abbiamo detto un secco no. Ci sembrava assurdo che un adulto, che so, Norberto Bobbio o il presidente Scalfaro, non potessero vedere interamente la nostra opera. Noi non siamo degli autori cinematografici come gli altri, siamo davvero fuori dall’industria. Noi facciamo quello che vogliamo e poi ne discutiamo. Del resto non abbiamo mai avuto problemi né quando lavoravamo con la Rai né quando abbiamo fatto questo film”.
Gli anni Novanta di Ciprì e Maresco si chiusero con Intervista a Mario Monicelli (1998), F. (1999) in collaborazione con Peter Bogdanovich, il documentario semi-biografico Enzo, domani a Palermo! (1999) sulle vicende giudiziarie dell’operatore cinematografico Enzo Castagna, nonché una doppia ode d’amore al jazz di Duke Ellington e alle sue sonorità tra Noi e il Duca – Quando Duke Ellington suonò a Palermo e Steve Plays Duke (1999) con protagonista il sassofonista Steve Lacy.
Gli ultimi lavori del duo risalgono ai primi anni Duemila con il surreale e sognante mockumentary meta-cinematografico dal titolo Il ritorno di Cagliostro (2003) ma soprattutto con il toccante omaggio a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia del duo comico Franco e Ciccio dal titolo Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio (2004). Mescolando materiale di repertorio degli archivi Rai a sketch comici e siparietti alla maniera di Cinico TV, con Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio Ciprì e Maresco unirono a uno stile documentaristico rodato, gag dalle venature nostalgiche avvalendosi perfino della partecipazione di personalità come Tatti Sanguineti, Pippo Baudo, Lino Banfi, Lando Buzzanca e Bernardo Bertolucci.
Un ultimo sussulto degnamente celebrato nella Menzione speciale al premio Pasinetti alla 61° Edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che scrisse la parola fine a un sodalizio artistico ventennale artisticamente impareggiabile capace di cambiare per sempre – e come nessun altro – la percezione del cinema siciliano in Italia e nel mondo. Di lì in avanti Ciprì e Maresco sono tornati ad essere Daniele Ciprì e Franco Maresco. Non più quindi un’unica, inseparabile, entità registica, ma due voci autoriali indipendenti e non più compenetranti che tra È stato il figlio e La buca (Ciprì), e Belluscone – Una storia siciliana e La mafia non è più quella di una volta (Maresco) continuano a viaggiare come due rette parallele nell’involontario orrore sociale tra fiction e realtà.
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Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi. Lucidissima opera politico-giudiziaria sotto forma di thriller, ambientata in un inquietante scenario italiano, negli anni cruenti della strategia della tensione.
Lo stereotipo indica la ripetizione o una fissità immutabile. E questa “fissità immutabile” che stupisce ritrovare nella rappresentazione della Sicilia operata dal cinema fin dai suoi albori.
Non solo da quello che mira essenzialmente al botteghino ma anche, purtroppo, dalle opere di famosi e acclamati autori del cinema italiano.
Francesco Gorgone si anima quando parla dell’OFS. Questa animazione è più che legittima. Francesco Gorgone ha creato, con la sua tenacia di organizzatore e con la sua fede nel cinema regionale la magnifica realtà che si chiama OFS, cioè a dire il cinema siciliano.
Il commissario di polizia Giacomo Bonavia (Martin Balsam) e il Sostituto Procuratore della Repubblica, Traini (Franco Nero) , sono impegnati, a Palermo, nella lotta contro la mafia e la criminalità. Mentre il primo, esasperato da dieci anni di insuccessi, si è ormai convinto dell’impossibilità di combattere la delinquenza organizzata siciliana secondo la prassi normale, il secondo, giovane e idealista, vede nella legge uno strumento inflessibile e non suscettibile di adattamenti a particolari situazioni.
Dalle origini del cinema muto prodotto e virato in giallo dalle Case palermitane Lucarelli Film e Lumen Film negli anni Dieci del ‘900 (La cassaforte n. 8, Profumo mortale, Ipnotismo, etc.) fino alla feconda produzione cinematografica isolana di oggi, i film hanno raccontato ad ampio spettro la diversità della Sicilia nella realtà e nell’immaginario collettivo, alimentando l’interesse del cinema nazionale e anche di quello straniero. Il cinema siciliano, inteso come girato in Sicilia, o altrove ma ambientato nell’Isola, oppure influenzato o tratto da opere di letterati siciliani, è un grembo fertile che genera film belli e brutti, oltreché formare registi, attori, sceneggiatori e altre figure professionali impegnati a vario titolo nella narrazione cinematografica, tanto confacente allo spirito siciliano medio, avvezzo al set cangiante della propria storia.
Da molti decenni ormai si discute sia sull’indefinibile natura del romanzo, sia sulla mutilazione temporale arrecata al film da Visconti. E la disputa esegetica dura tuttora.
Il 31 gennaio 1964, al Cinema Astoria di Palermo si proietta la prima di Sedotta e abbandonata (1964) diretto da Pietro Germi. La pellicola fa parte di una trilogia iniziata con Divorzio all’italiana (1961) e conclusa con Signore & signori (1966).