A CIASCUNO IL SUO (1967) DI PETRI, OVVERO IL POLIZIESCO SECONDO SCIASCIA

Che a ciascuno venga dato ciò che gli spetta”, Unicuique suum, locuzione latina ed uno dei
fondamentali precetti del Diritto che campeggia con fierezza sulla pagina di apertura de L’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede. Da questo motto lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia non soltanto trasse ispirazione per il titolo del suo romanzo A ciascuno il suo (Einaudi, 1966) ma prelevò anche l’idea dell’indizio rilevante, la pista da seguire per la risoluzione del giallo che fa seguito al duplice omicidio Manno-Roscio durante una battuta di caccia, antefatto/misfatto da cui prende avvio la storia raccontata da Sciascia.

    Una vicenda che rimesta nel torbido degli intrighi, del malaffare e dell’omertà, la quale in qualche modo segue il solco già tracciato da Il giorno della civetta (1961), ove però nel mirino dell’analisi critica stavolta finisce anche la Chiesa.

    Sulla scorta del successo ottenuto dal libro, il regista Elio Petri confeziona l’anno seguente il quinto lungometraggio della sua carriera e che si propone come libero adattamento del romanzo, il primo tratto da Sciascia (il secondo sarà Todo modo, 1976) e ambientato tra le splendide location di Cefalù, Palermo e Isola delle Femmine.

    A ciascuno il suo sancisce inoltre il sodalizio professionale con lo sceneggiatore Ugo Pirro e il
grande Gian Maria Volonté che qui – ma come sempre del resto – da eccellente prova nei panni del protagonista, il professor Paolo Laurana.

    Ex militante di estrema sinistra, ombroso e dal carattere poco espansivo (“uno astratto”, lo definisce la madre) ma profondamente intelligente e strenuo persecutore della verità, Laurana si accorge sin da subito che qualcosa in quel duplice omicidio non quadra.

    Il farmacista Arturo Manno (Luigi Pistilli), ritenuto ufficialmente l’obiettivo del delitto mentre il dottor Roscio solo una vittima collaterale, era infatti solito ricevere delle lettere minatorie probabilmente a causa delle sue relazioni extraconiugali, motivo per il quale viene seguita la pista passionale e i congiunti di Rosina, una giovanissima cameriera che egli aveva sedotto, finiscono così in manette, assistiti dall’avvocato Rosello (Gabriele Ferzetti), notabile del luogo. Ma Laurana, che aveva avuto modo di vedere una delle ultime lettere ricevute da Manno, comprende con estrema arguzia che quelle  stesse missive, composte con ritagli di giornale provenienti da L’Osservatore Romano, non potevano provenire da persone così poco istruite e certamente non avvezze a certe letture.

    Incuriosito ed allo stesso tempo intrigato per quanto aveva scoperto, Laurana si getta a capofitto in quella che sarà la sua personale indagine e di cui farà confidenza alla vedova del dottor Roscio e cugina dell’avvocato Rosello, Luisa (Irene Papas). Superbo e avvincente giallo politico questo di Petri, capace di affrontare in maniera piuttosto coerente il romanzo di Sciascia, soprattutto per quel che attiene il taglio di denuncia che lo scrittore di Racalmuto ha inteso conferirvi e che Petri dal canto suo ha saputo cogliere nella sua essenzialità.

    Cinema d’impegno civile dunque che si muove sui binari del mistero e all’ombra dell’intreccio
malcelato fra “poteri forti”, tra le maglie di un tessuto sociale le cui singole individualità annaspano nell’ipocrisia e nel perbenismo di facciata, dove tutti sanno ma fanno finta di non sapere, voltandosi dall’altra parte e stando ben attenti a non pestare i piedi sbagliati.
Nella pellicola, così come nel romanzo, si respira costantemente quell’aria greve e opprimente della connivenza e dell’intimidazione, caratteristiche peculiari della mentalità e della cultura mafiose, e ciò malgrado i tempi non fossero ancora politicamente maturi per poterne fare esplicito riferimento verbale nell’opera. Solo il professor Laurana, come una mosca bianca, appare sinceramente interessato alla verità, desideroso di scavare oltre quella superficialità con la quale è stato frettolosamente liquidato il caso relativo al duplice omicidio. Nonostante i depistaggi, nonostante le diverse prove raccolte a sostegno della sua tesi, riguardanti crimini e “inciuci” vari, il personaggio interpretato da Volonté crede comunque ancora di potersi fidare di qualcuno, quel qualcuno dai profondi occhi scuri e le gambe velate di nero che ha ascoltato e accolto le sue confidenze: le rivelazioni di “un cretino” che, come Don Chisciotte, vorrebbe combattere contro i mulini a vento di una società corrotta nell’animo. Petri tratteggia e coordina in maniera superba ogni singolo elemento nell’economia della vicenda, dalla caratterizzazione dei personaggi (encomiabili da questo punto di vista il grande protagonista Gian Maria Volonté, Gabriele Ferzetti nella parte dell’ambiguo avvocato, Irene Papas nei panni di una misteriosa femme fatale, e Salvo Randone che recita il piccolo ma significativo ruolo del padre non vedente del defunto Roscio) alle ambientazioni che vedono come set privilegiato la cittadina di Cefalù, in particolare la piazzetta dell’antica cattedrale, e il litorale di Isola delle Femmine con il caratteristico isolotto sullo sfondo, risaltate dalla fotografia luminosa del direttore Luigi Kuveiller che conferisce alle immagini quella tipica sensazione afosa e assolata della calura estiva siciliana. Le bellissime musiche, ora suadenti ora incalzanti, facenti parte della colonna sonora sono state invece composte da Luis Bacalov.

[SPOILER]

    La forza narrativa del film sta anche nella costruzione della suspense, tipica di ogni buon giallo che si rispetti, che monta esponenzialmente man mano che le indagini personali di Laurana proseguono, per culminare in quell’epilogo beffardo e spiazzante che lascia sbigottito anche lo spettatore più smaliziato. Dopo l’originale intuizione circa la natura delle lettere minatorie ricevute da Arturo Manno, Laurana incontra con un escamotage le uniche due persone che in paese ricevono e leggono L’Osservatore Romano. Uno è il curato di Sant’Amo (Mario Scaccia), un ecclesiastico più interessato a trattare la compravendita di reliquie abbandonate e che, fra le righe, gli lascia intendere di sapere più di quanto non si sappia in giro. L’altro destinatario è l’arciprete Rosello, zio del notabile avvocato e della vedova Roscio.

    Grazie a delle vecchie conoscenze politiche, risalenti al periodo della militanza nel Partito comunista, Laurana apprende che il defunto Roscio aveva scoperto degli intrighi poco puliti in cui parrebbe essere coinvolto l’avvocato Rosello e dei quali l’uomo aveva scritto su un diario custodito presso la casa paterna, ora ritrovato da Laurana. Il successivo avvistamento dell’avvocato assieme ad un noto criminale locale corrobora finalmente l’ipotesi maturata dal professor Laurana: il mandante del duplice delitto è proprio Rosello che però aveva come unico bersaglio il Roscio (Manno era stato eliminato in quanto testimone involontario). Laurana racconta la sua scoperta a Luisa, di cui nel frattempo si è ormai invaghito, e la donna si mostra disponibile a supportarlo. Rosello, avendo intuito di essere stato scoperto, tende una trappola al professore il quale però, con una mossa astuta (racconta di un fantomatico diario su cui avrebbe annotato le proprie scoperte), scampa al pericolo di un agguato. Il professore ha ormai le prove definitive per denunciare l’avvocato non senza però voler prima incontrare Luisa, a cui ha raccontato della sua disavventura. La donna, che fino a quel momento è stata la sua unica confidente ed amica, rivela però finalmente il suo doppio gioco: dopo aver confessato di avere avuto un legame particolare con il cugino (di cui Laurana aveva effettivamente sospettato) ma che non aveva potuto sposare a suo tempo a causa dell’opposizione dello zio arciprete, Luisa lo lascia in balìa dei suoi sicari, che lo catturano e lo conducono in un luogo lontano ed isolato per poi ucciderlo con dell’esplosivo.

    All’amarezza per questo epilogo così tragico si unirà un’autentica sensazione di sgomento allorquando, sul sagrato della cattedrale di Cefalù – dopo che il carro funebre con il feretro del povero Laurana si è allontanato – si materializzeranno due sposi in attesa di convolare alle agognate nozze: sono proprio l’avvocato Rosello e quella diabolica dark lady che aveva ormai riposto l’abito scuro del suo lutto ipocrita per indossare, finalmente, quello bianco atteso per tanti anni. Con l’approvazione di chi aveva capito, saputo, occultato e addirittura esaltato “un capolavoro”, fra il dileggio e l’aspra considerazione che chiunque cerchi ingenuamente di far emergere la verità altro non è che un misero illuso, un povero “cretino”.

[FINE SPOILER]

    Appena dopo l’uscita nelle sale cinematografiche italiane, la distribuzione della pellicola subì
un’improvvisa battuta d’arresto a causa del sequestro della locandina – che ritraeva due soggetti in
atteggiamenti quasi intimi – considerata scabrosa per la morale comune di quel tempo. Un piccolo
incidente che comunque non inficiò l’enorme successo di critica ottenuto dal film e che gli valse diversi prestigiosi riconoscimenti: il premio per la Miglior sceneggiatura al XX Festival di Cannes del 1967, nonché ben quattro Nastri d’argento nel 1968 rispettivamente per la Miglior regia (Elio Petri), Miglior attore protagonista (Gian Maria Volonté), Miglior attore non protagonista (Gabriele Ferzetti) e per la Miglior sceneggiatura (Elio Petri e Ugo Pirro).

    Recentemente, il capolavoro di Petri è tornato al suo splendore originario grazie al restauro voluto dalla signora Giovanna Gravina Volonté (figlia che il celebre attore ebbe dalla collega, la altrettanto bravissima Carla Gravina) e da Paola Pegoraro (vedova del regista), curato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino in collaborazione con Movietime, proprio grazie ai fondi Volonté/Petri che hanno permesso l’operazione di recupero.

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