IL CAMMINO DELLA SPERANZA (1950), L’EMIGRAZIONE A TRE PUNTE SECONDO GERMI

Un gruppo di minatori siciliani rimasti senza lavoro dopo la chiusura di una solfara sono contattati da un losco truffatore, che promette in cambio dei loro risparmi di condurli in Francia verso un lavoro sicuro e un’esistenza migliore. Comincia un estenuante viaggio attraverso l’Italia durante il quale l’ingaggiatore tenta la fuga.

    Mentre prosegue verso Nord, il gruppo si sfalda, tra liti con i lavoranti emiliani che li individuano come crumiri, amori che sbocciano, rivalità, ingiunzioni di polizia e persone che muoiono o decidono di tornare indietro. Solo un gruppo ristretto arriva tra le nevi delle Alpi e giunge alla frontiera, dove i gendarmi francesi per umanità consentono loro di passare.

    Pietro Germi è stato un grande del cinema italiano. Era genovese, ma la sua filmografia è ricca di Sicilia. Come questo Il cammino della speranza del 1950, premio Orso d’Argento a Berlino. Il film nelle sequenze siciliane è stato girato a Favara e Messina, per il resto Roma e Val di Susa. Anche le sequenze ambientate in Emilia furono girate vicino Roma (Maccarese e Fregene).

    La pellicola, che in origine doveva intitolarsi “Terroni”, incontra ancora prima della sua uscita diversi problemi di censura, soprattutto per alcune scene riguardanti l’operato delle forze dell’ordine: “Il cammino della speranza è neorealismo epico, una ballata popolare scandita dalle note malinconiche ma non rassegnate di Vitti ‘na crozza. È un film tutto italiano, ai limiti del regionalismo, viaggio morale attraverso il paese, da Sud a Nord […] ma potrebbe anche essere una storia americana degli anni bui, e se un rimando appare davvero inevitabile è quello a Furore (1940) di John Ford: gli stessi poveri, perché i poveri sono uguali dappertutto; la stessa gente costretta a lasciare per sempre la terra dov’è nata e dove non potrà morire.

    Quando Germi si reca in Sicilia per iniziare le riprese, incontra ad Agrigento il Maestro Franco Li Causi al quale chiede di comporre “un motivo allegro-tragico-sentimentale“ da inserire nel film. Nessuna delle proposte del Maestro soddisfa il regista, sin quando a Favara (mentre si svolgevano le riprese) un minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recita a Germi una poesia popolare, che comincia così: “Vitti ‘na crozza supra nu cannoni, fui curiusu e ci vosi spiari ….”. Il regista, affascinato dai versi, chiede a Li Causi di musicarli e la canzone entra di diritto nella colonna sonora del film, anche se l’autore non venne citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda. Ma grazie al film e a un disco fatto incidere da Li Causi al tenore Michelangelo Verso, questo “pezzetto sonoro” di Sicilia otterrà poi una diffusione internazionale.

BALDO GUCCIARDI

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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