IO TI SALVERÒ (1945), LO BACERÀ O LO UCCIDERÀ?

Come in una fiaba in cui si invertono i ruoli, in Io ti salverò (1945) l’eroina veste i panni della dottoressa Costanza Peterson, psichiatra nella casa di cura Villa Verde, delle cui capacità di analisi e discernimento arriva a dubitare persino il suo maestro, il professor Brulov (Michail Alexandrovic Cechov):

“Una donna innamorata occupa l’ultimo posto dei valori intellettuali.”

Decisa a spezzare l’incantesimo di cui è vittima John Brown, nome di invenzione, dalle iniziali J.B. incise sul portasigarette d’argento, incantesimo che affonda le sue radici in un incidente avvenuto durante la sua infanzia, che provocò la morte del fratellino, di cui tuttora si sente responsabile (Guilty Complex).

    Spellbound, titolo originale, nella duplice accezione maschile e femminile, letteralmente “incantato / incantata”: che sia davvero lui vittima di un maleficio, o lei di un prodigio, che ha stravolto la vita dell’algida e glaciale dottoressa, nell’eterna lotta tra ragione e sentimento, un sentimento nuovo, improvviso, determinante, che si traduce nella totale, irrazionale e infondata fiducia, quasi un dogma di fede, che Costanza, paladina di un amore risolutivo e salvifico, ripone in John, e la ragione, supportata dai suoi studi, così che armata di cuore, occhiali, penna e taccuino, arriverà al fine a risolvere l’enigma: la psicanalisi e l’interpretazione dei sogni sono gli strumenti di cui si avvale per salvare J.B. e scagionarlo dall’accusa di omicidio.

    Basato sul romanzo di Francis Beedings The House of Dr. Edwardes del 1927, la pellicola di Alfred Hitchcock (uscita nel dicembre 1945 negli Stati Uniti, in Italia soltanto nel 1947 con il titolo), premio Oscar nel 1946 per la miglior colonna sonora (Miklòs Rozsa) ha per protagonisti Ingrid Bergman (già premio Oscar nel 1945 per la sua interpretazione in Angoscia del 1944), e un’allucinato Gregory Peck, nel ruolo di John Ballantyne (ricorderà il suo vero nome solo nel finale), schizofrenico medico paracadutista. Congedato per malattia, incontra in Virginia, dove era in cura per esaurimento nervoso, il dottor Edwardes, psichiatra, autore di numerose pubblicazioni, che avrebbe dovuto sostituire il dottor Murchison (Leo G. Carroll) alla guida di Villa Verde, lo accompagna, su sua iniziativa, in vacanza sulla neve, e assiste alla sua morte. A causa di una amnesia parziale, e divorato dai riaffiorati sensi di colpa per la morte del fratello, J.B. rimuove l’accaduto, si sostituisce al dottore e si presenta in clinica per ricoprire il ruolo di direttore.

    La vista del bianco solcato da righe parallele (una tovaglia su cui Costanza traccia un disegno con i rebbi della forchetta, la vestaglia bianca con sottili righe nere, le rotaie, il copriletto a casa del prof. Brulov) che ricordano segni di slitta e sci sulla neve, provocano turbamento nel sedicente Anthony Edwardes che, presto scoperto, sarà costretto a lasciare il sanatorio, e accusato dell’omicidio del medico al quale aveva rubato l’identità. Lo accompagna, nella sua fuga dalla giustizia, Costanza, e lo supporta nel suo viaggio interiore per vincere paure e fantasmi del passato, e dimostrare la sua innocenza, da New York a Rochester, ospiti del prof. Alessio Brulov che cederà alle insistenze della sua allieva e la aiuterà a curare J.B..

    Nella sequenza del sogno, magistralmente disegnata da Salvador Dalì, genio del surrealismo, si raggiunge il sublime: in quella che sembra essere una casa da gioco, una moltitudine di occhi, occhi che osservano, giudicano, condannano, sono drappeggi di tende che un uomo, armato di grandi forbici, si appresta a tagliare, mentre una donna, in abiti succinti, dispensa baci ai giocatori seduti ai tavoli; con due carte bianche l’avversario di J.B., un uomo con la barba, vince contro il 7 di fiori “e 7 21 vinco io!”, e accusato di aver barato e minacciato dal proprietario della bisca il cui volto è coperto, alla maniera di Les amantes di Renèe Magritte; le ali nere che sovrastano e inseguono John nella sua corsa in discesa; la ruota che l’uomo senza volto, nascosto dietro un comignolo, mentre l’uomo con la barba precipita, sembrerebbe accidentalmente, dal dirupo, in un paesaggio metafisico di dechirichiana memoria, prima stringe nella mano sinistra, quindi la lascia cadere è chiara trasposizione degli orologi molli de La persistenza della memoria del 1931, divenuto il manifesto del surrealismo onirico di Dalì, che ha avuto in André Breton il suo precursore.

    L’esser stato testimone e non responsabile della morte del Dr. Edwardes e la scoperta di quali fossero i ricordi del passato di cui tentava di disfarsi, non risparmiano a John Ballantynes la galera. Una pallottola trovata nel corpo del medico, confermano alla polizia l’accusa di omicidio e smentiscono i risultati prodotti da Costanza e Brulov. Sarà una leggerezza del dottor Murchison, le cui dimissioni erano state chieste per senilità, a smontare le accuse:

“Conoscevo appena il Dr. Edwards, non mi è mai piaciuto!”

    “Conoscevo, conoscevo…” risuona alle orecchie di Costanza come una ammissione di colpevolezza. Murchison non poteva non aver riconosciuto in J.B. un impostore al suo arrivo: identifica dunque nel proprietario della bisca l’anziano collega che rivendicava il suo posto di direttore, e nella ruota la rivoltella dalla quale è stato esploso il proiettile che ha causato la morte di Edwardes, la stessa con la quale prima la minaccia, e con cui, mentre lei si allontana dandogli le spalle, sfidandolo, si toglie la vita.

“La mente non è tutto, il cuore vede più lontano, a volte.”

    Concludo con una mia personalissima riflessione: di fronte alle labbra carnose di J.B., anche la più gelida delle donne avrebbe ceduto!

GIUSI LI VECCHI

ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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