UGO SAITTA, INDOMITO REGISTA INDIPENDENTE

Figlio di Vincenzo (“l’avvocato degli umili”) – che fu deputato socialista nel primo dopoguerra e coraggioso compagno di lotta di Giuseppe De FeliceUgo Saitta (Catania 1912-1983) manifesta prestissimo la vocazione all’uso della macchina da presa, compiendo appena sedicenne le prime esperienze cinematografiche, riassunte sotto l’etichetta “Juventus Film”, evidenziando così caparbiamente l’incipit d’una proficua attività indipendente, che segnerà tutta la sua purtroppo non lunghissima carriera artistica.

    Dopo queste prime prove giovanili tra il 1927 e il 1934, inizia un’eclettica e per certi versi “pionieristica” attività documentaristica (“Taormina”, “Il figlio della prateria”, “Il sogno di un balilla”, “Brigata eroica”, “La mia giornata”, 1932; “Nizza e Montecarlo”, “Terra, mare e cielo”, 1934). Esordisce come attore-regista, con il film muto a soggetto “Vent’anni” (1933) interpreti: Antonietta Ferrante, Enzo Martinez, Enrico Empoli, Mimmo Zanchì, Simone Abate, cui l’anno successivo fa seguito “Clima puro” (1934, in 35 mm.),”redenzione” d’un giovane che abbraccia gli ideali del Duce, interpretato da studenti universitari e girato tra Aci Castello, Aci Trezza e l’Etna, operatore Giuseppe Verdura; film con il quale partecipa ai littoriali del cinema, dove non raramente si rendeva palese l’opposizione al regime.

    Allievo nel 1935-36 del primo corso del CSC (Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma) che vanta docenti del calibro di Blasetti, Umberto Barbaro, Chiarini e il russo Sharoff (noto regista teatrale), appena diplomato dirige il documentario “Tivoli” (1936), imponendosi al concorso nazionale per il film turistico. Nello stesso anno – mostrando di aderire all’ansia di rinnovamento che soffia sull’esangue e ingessato cinema di regime – pubblica sulla rivista “L’appello” (Anno III, nn. 10,11,12) un articolo dal titolo “Ricostruzione del Cinema Italiano”. Lavora alacremente anche di penna, una frenetica attività che non abbandonerà mai, scrivendo soggetti e sceneggiature (anche in collaborazione), la gran parte dei quali rimarranno irrealizzati. Con il cortometraggio a pupazzi animati “Pisicchio e Melisenda” (1937) in b/n autoprodotto e realizzato negli stabilimenti SPES di Roma, partecipa alla VII Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel 1939 dirige parzialmente il film “Se quell’idiota ci pensasse”, portato a termine da Nino Giannini.

    All’inizio degli anni ’40 per l’Istituto LUCE (che il maggiore storico del cinema italiano, Gian Piero Brunetta, definisce “il monumento cinematografico a Mussolini”) crea i documentari “Canapa” (1941), “Bietola” (1941), “Prime ali” (1942), “La scatola del tempo”(1942) e “I cavalieri della GIL (Gioventù Italiana Littoria)” (1943). Finito il secondo conflitto mondiale, dopo aver dato vita a Catania ad una nuova produzione autonoma, la “X Film” (1945), abbraccia l’estetica neorealista a lui congeniale e circondandosi di attori non professionisti (Sara Saida, Nino Corsaro, Peppino Nicolosi, Carmela Trovato, Giuseppe Trovato, Vittorina Campagna, Lucia Guzzardi) tenta ancora l’avventura del lungometraggio con “Nuvola” (1945), toccando con la troupe alti paesi di montagna – Maletto, Monte Collo (Randazzo), Bronte, Cesarò – per ridiscendere poi sulla Piana di Catania (Passo Martino). Interrotto una prima volta, dopo un tentativo di ripresa compiuto nel giugno del 1946, il film – sceneggiato dallo stesso Saitta e Luigi Emmanuele, con la collaborazione di William Silenzi – viene purtroppo definitivamente accantonato. Coproduce e dirige sempre nel ’46, “La Fiera del mediterraneo” di Palermo, quindi “L’Etna è bianco” (1947, premiato), su testo di Giampiero Pucci e musica di Virgilio Chiti e il più noto “Zolfara” (1948), che partecipa alla IX Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dalla nascita una delle più importanti kermesse cinematografiche del mondo.

    Non disdegna l’aiuto regia del sentimentale “Io t’ho incontrata a Napoli” (1946) di Pietro Francisci e di curare la supervisione ai sopralluoghi del russo “I cosacchi del Kuban” (1949) di Ivan Pyrief, sebbene ormai votato al più congeniale documentarismo (per quanto non abbandoni mai l’idea di realizzare lungometraggi) sforna a pieno ritmo: “Sicilia ionica”, “Sole e fiori a Taormina”, entrambi del ’48; “Pergusa”, “Boy scouts a Taormina”, “Sant’Agata” e “Saro Majorana”, tutti del ’49; “La valle dei templi” (1950) e “Mito e realtà di Siracusa” (1951). Per la “Settimana Incom” (che allora precedeva la proiezione cinematografica nelle sale) della quale diviene corrispondente per la Sicilia, Calabria e isole dal 1947 al 1959, gira una serie di servizi giornalistici: “Ricordo di Taormina” (1951), “Terra di Giovanni Verga” (1953) abbinato al film di Gallone “Cavalleria Rusticana” con Antony Quinn ed Ettore Manni; “Sciara” (1954); “I pupi siciliani” e “Il Carretto siciliano” entrambi del ’54; “Città barocca” (1955); “Città viva” (1957); “La barca siciliana” e “L’isola di Favignana” (1958); “La riviera dei tre golfi”, “Itinerario Etna” e “Travelling in Sicily” (1960), scoprendo una Sicilia per molti versi ancora inedita, al contempo colta e turistica, un’isola agli antipodi degli stereotipi (mafia, omertà, gallismo, gelosia…) che il cinema ha già dai pionieristici esordi e dal muto rappresentato e con i quali purtroppo – in parte ancor oggi – continua ad essere indecentemente mostrata. Un vero e proprio giacimento iconico che conserva un indiscutibile valore antropologico e culturale.

    Fondata ancora un’altra società, la “Cineproduzione Ugo Saitta” nel 1962 inventa una singolare Cinerivista, “Volto di Sicilia”, in cui tra i redattori appare il nome di Pippo Fava e Gaetano Caponnetto. Tra i molti documentari e i docu-fiction da ricordare la Cinerivista n. 2, girato anche nella zona industriale di Priolo; la Cinerivista n.3 con, tra gli altri servizi, “Un paradiso per Bacco” e “Uno contro tutti e viceversa”; “Amori garibaldini” ed altri, titoli per i quali si avvale della presenza di Tuccio Musumeci, che presto sarebbe diventato uno dei fetish dell’attorialità catanese. Tra gli altri titoli da evidenziare il servizio “Una spiaggia internazionale”, con Vittorio Gasmann, Ercole Patti, Monica Vitti, Joan Crawford, ripresi in sollazzi estivi sulla spiaggia e Umberto Spadaro protagonista dello sketch “Le gemelle”; quindi “L’eredità di Pirandello”, brani di opere pirandelliane letti da Lidia Alfonsi; “Mito e decadenza del maschio siciliano” , che ne conferma lo sguardo ironico, disincantato ed anticonvenzionale. “Sindacato è forza”, “Sicilia chiama mondo” e molti altri lavori, compongono un puzzle eterogeneo, oscillante tra storia, teatro dei pupi, letteratura, modernizzazione e divertente gossip del tempo. Cura la supervisione ai sopralluoghi di “Modesty Blaise” (1967, girato a S. Alessio, Messina) considerato uno dei film minori del grande Joseph Losey, perseguitato durante il maccartismo e costretto ad emigrare in Gran Bretagna; protagonista la straordinaria Monica Vitti. Dopo “Siace 1967” dirige e come sempre auto produce la commedia “Lo voglio maschio” (1970), lungometraggio su soggetto di Gaetano Caponnetto e di cui scrive la sceneggiatura, protagonista Tuccio Musumeci, film distribuito dall’indipendente catanese DFI di Patanè-Caruso, girato tra Catania, Aci Trezza, Acireale, Trecastagni e Caltagirone, complessa e tortuosa vicenda d’una contesa eredità, dalla chiusa senza danni. Altri interpreti: Leo Gullotta, Franca Manetti, Ignazio Pappalardo, Turi Scalia e Umberto Spadaro e l’esotica Aliza Adar, rimasta pressoché sconosciuta. Nei panni del mago, l’eclettico barone acese Orazio Pennini di Floristella (che presta al cinema molte location), mefistofelicamente acconciato. Interni a palazzo “Musumeci” di Catania. Una sequenza è stata inserita nel film di repertorio “L’isola a tre punte” (1995) di Giuseppe Tornatore.

    Infaticabile Saitta torna al documentario con “Catania, città dell’Etna” e “Acireale la riviera dei limoni” (1973), “La Sicilia dal mondo arabo al mondo cristiano” (1975, per il LUCE, soggetto di grande fascino ma incredibilmente pressoché ignorato), “Storia su due ruote” (1976), “Etna quota 3000”, premiato alla XVI Rassegna Nazionale del film turistico di Bardonecchia; “Civiltà contadina” (1977, in 35 mm, sulla casa-museo di Antonio Uccello a Palazzolo Acreide), “La festa dei poveri” (1978, premiato a Lipari) ed “E’ Sicilia” (1979). Per la RAI produce una serie televisiva sul teatro dei pupi in 14 puntate e ancora “Parliamo di Vitaliano Brancati” (1980). Scarsa ma non assente l’attività teatrale: negli anni ’60 ha diretto il CUT (Centro Universitario Teatrale) e nel 1957 si ritrova tra i fondatori del CUC (Centro Universitario Cinematografico), che già alla fine degli anni ’50 contava oltre un migliaio di soci. Nel 1983 la morte lo coglie nel pieno della stesura di altri progetti. Ugo Saitta – come il principe-produttore Francesco Alliata, uno dei leggendari fondatori della “Panaria Film” di Palermo (1946, che lo prese a modello del cinema indipendente siciliano), come l’ “Organizzazione Filmistica Siciliana” (1944) dell’industriale palermitano Francesco Gorgone e l’ “Organizzazione Filmistica Italiana” (1950) dei fratelli messinesi Zona, o ancora come la “Faro Film” di Messina e molte altre più o meno durature case di produzione siciliane – credette e fino all’ultimo si batté contro l’imperialismo cinematografico romano, fortemente centralizzato, rappresentato dagli stabilimenti e teatri di posa di Cinecittà. Paradossalmente fu proprio la quasi totale distruzione, ad opera dei bombardamenti degli alleati, di gran parte di Cinecittà, a provocare in Sicilia quell’infiorescenza post-bellica di produzioni cinematografiche indigene, pencolanti tra avventurismo, mercato, mecenatismo e sogni di grandeur, d’un impossibile decentramento, spesso bruciati nell’ espace d’un matin, ma ai quali l’indomito Saitta non smise mai di credere, riuscendo (seppur in parte) a realizzarli.

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