MUSICA OLTRE LE STELLE, LA MUSICA SCI-FI DELL’EST

Alla fascinazione esercitata dalla fantascienza contribuisce da sempre il gioco tra le frontiere dell’immaginabile e dell’inimmaginabile, il balletto di seduzione tra ciò che è possibile e ciò che è soltanto intuibile. oltre al rapporto mutevole tra la forza antagonista rappresentata dalla speranza di un mondo migliore e la minaccia portata nei confronti del nostro vivere attuale. Mentre la narrativa fantascientifica spalanca all’immaginazione lo spazio infinito del cosmo, a proprio dello specifico del mezzo filmico, attraverso la rappresentazione figurativa e acustica concreta di porre frontiere più strette all’impensabile della fantasia.

    Così, proprio ciò che dovrebbe essere trasceso grazie alle regole del genere, resta invece al di qua del rappresentabile, in questo modo è il carattere più intimamente fantastico di un film fantascientifico, ossia ciò che resta in ombra, a dire del tempo in cui è stato prodotto. I limiti del rappresentabile sono ciò che da un lato conduce alla comprensione, alla popolarità e alla diffusione culturale di un film, mentre, da un altro versante, comportano sempre anche dei luoghi comuni dai quali nemmeno la musica può prescindere. Come prodotti dall’era della Guerra Fredda, in Sojux 111 – Terrore su Venere (1960), Eolomea – La sirena delle stelle (1972) e La polvere delle galassie (1976) sono proprio il terrore dell’incubo atomico e l’utopia di una convivenza pacifica degli uomini a fornire le direttive narrative principali del racconto.

    Questi elementi, compresi i requisiti ottici e acustici necessari a metterli in scena sono altrettanto interessanti, in quanto documenti temporali. tanto quanto le informazioni che offrono rispetto alle mode, al design e in generale all’estetica dell’epoca. Per permettere allo spettatore di percepire l’aura del minaccioso e di ciò che è solo parzialmente controllabile tecnologicamente, in questi tre film la sfera uditiva viene arricchita enormemente da rumori e musiche conferendo così a questi elementi una forza suggestiva ancora più coinvolgente rispetto alle immagini stesse. Rumori incomprensibili provenienti da apparecchiature, voci umane-non-più-umane di robot generate da computer, complesse analisi linguistiche e dissonanti sonorità apparentemente prive di origini umane sono gli elementi cui i registi di questi tre film hanno puntato in maniera del tutto consapevole per evocare il potere dell’etere, perturbamenti atmosferici e soprattutto rappresentare la potenziale disumanità delle tecnologie più avanzate.

    Un’associazione quasi naturale della musica elettronica con l’inumano e l’inanimato si evince già dalla natura meccanica di queste sonorità e dallo scarso spazio conferito al tempo materiale dell’esecuzione. In Sojux 111 il compositore Andrzej Markowski opera una giustapposizione abbastanza convenzionale tra la musica orchestrale, per commentare ciò che accade sulla Terra, e sonorità ottenute elettronicamente per rappresentare in profondità dello spazio. Per il prologo e la sequenza finale, dal punto di vista dell’estetica musicale. Markowski ha dato vita a composizioni che richiamavano in forme molto diverse numerosi sviluppi della musica del ventesimo secolo e che trascendevano con grande convinzione i limiti auto imposti della DEFA. Eppure, la partitura di sapore espressionista, con le sue tonalità acute, le sue stratificazioni, le sue scale di toni pieni, non è solo la trasposizione dell’idea di fondo del film che “tutto è frammentato”.

    All’inizio del prologo, infatti, sembra quasi di percepire echi romantici del pathos di Ciakovski, mentre sul finale sorprende l’apoteosi musicale. Anche se siffatte connotazioni erano segni caratteristici del realismo socialista, non si trovavano comunque in forme così avanzate nei film contemporanei della DEFA.

Oltre all’Orchestra Cinematogtafìca di Babelsberg, la cui presenza nella sua opulenza sinfonica non era assolutamente pensabile per motivi di costi nella corrente produzione cinematografica capitalista. Markowski utilizzò anche della musica elettronica sperimentale diventando così uno dei primi compositori cinematografici a utilizzare suoni che con il tempo sarebbero diventati poi di uso comune. Una notevole intuizione, se si considera che il soggetto del film affronta il tema dell’inquinamento atomico su Venere e che la natura immateriale dei suoni rappresenta in questo modo forse persino meglio la minaccia immateriale del pericolo radioattivo di quanto avrebbero potuto fare le stesse immagini.

    Dal canto suo, Günther Fischer era noto come compositore musicale per quella che nel gergo dell’ex Repubblica Democratica Tedesca era nota come “Beatmusik” (musica beat) che produceva nei suo studio con strumentazioni private di cui alla DEFA dell’epoca si poteva solo sognare. Per Eolomea operò una fusione di sonorità oscillante tra suoni Art Rock e suoni vicini al rock elettronico, avvicinandosi in questo modo sia al linguaggio dei coevi film incentrati su James Bond che all’impressionismo psichedelico di 2001 – Odissea nello spazio (1968). Così, se da un lato anche Fischer rappresenta la dimensione dello spazio attraverso suoni astratti ed elettronici, il ricorso ad altri di matrice schiettamente pop ci fa comprendere come la nostalgia nei confronti della Terra è ormai tesa completamente nella direzione della ricerca dell’ignoto e della sua esplorazione.

    Karl-Ernst Sasse, il compositore principe di casa DEFA, familiare con tutte le forme musicali, scrisse per La polvere delle galassie una colonna musicale che avesse ben presente la funzione drammatica portante del film: sul pianeta TEM 4 il controllo esercitato da un folle sui suoni e la musica è pari all’arbitrio del potere esercitato dai dittatori sulla vita delle donne e degli uomini. Questa visione di paura tecnocratica Sasse l’ha realizzata ricorrendo a Lied der Zeit (La canzone del tempo), un brano caratterizzato da voci femminili molto alte e acute cui fa da contrappunto un movimento pieno di speranza. In questo modo Sasse esemplificava l’oscillare della musica come gioco dell’apparire tra ciò che è comprensibile sentimentalmente e ciò che invece è metafisicamente astratto. Frontiera questa che nel cinema di fantascienza, non solo in quello prodotto dalla DEFA, è da sempre esplorata con grande attenzione.

VICTORIA PIEL

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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