IL BELL’ANTONIO DI BOLOGNINI COMPIE 60 ANNI

Il bell’Antonio di Mauro Bolognini usciva al cinema 60 anni fa. L’omosessualità vista come una maledizione, una condanna, un marchio infamante, una vergogna sociale da cui nascondersi. Questo sopratutto nel meridione della penisola,, della Sicilia, in una delle sue città più importanti, la Catania degli inizi anni ’60.

    Ne subisce derisione e persecuzione il protagonista della vicenda, Antonio Mangano (Mastroianni), rampollo di una famiglia facoltosa. Un giovane di buona cultura, di maniere eleganti e raffinati, sensibile e di bell’aspetto, da qui l’appellativo di “bell’Antonio”. Ambito e desiderato da molte donne, il suo errore di leggerezza, sarà quello di sposare la bellissima Barbara Puglisi (Cardinale), di cui si è innamorato. Cerca di amarla di un amore platonico, e con sentimenti delicati la colma di affetto e calore, ma la sua impotenza, una volta scoperta, fa esplodere l’indignazione, la rabbia dei genitori e parenti della moglie, aprendo una sorta di “guerra” aspra , frenetica e senza esclusione di strategie tra le due famiglie, Antonio cercherà di svincolarsi da queste meschinerie, non potrà comunque evitare delle profonde ferite morali, un senso di mesta amarezza.

    Il bell’Antonio resta uno dei film più riusciti di Bolognini, che ha spostato l’azione narrativa dell’ottimo romanzo omonimo dello scrittore pachinese Vitaliano Brancati, dal quale la pellicola è tratta, dagli anni Trenta, sotto il regime fascista, a tre decenni dopo. Ma la sostanza è la stessa, segno di una mentalità e pregiudizi che non erano cambiati, superati per nulla.

    La cosiddetta diversità sessuale, impotenza era messa all’indice, ignobilmente alla stessa maniera, con eguali considerazioni, dalla società benpensante e conformista, nei suoi vari strati: istituzioni, borghesia, popolo, clero, ambienti culturali. In nome di un’esaltazione, ai limiti del fanatismo, del virilismo eterosessuale. In nome di una mentalità retrograda e ottusamente chiusa nei propri orizzonti di pensiero.

    Il bell’Antonio ha parecchi meriti nella sua alta qualità artistica, a partire dal tratteggio psicologico dei personaggi, a iniziare ovviamente da Antonio, costretto a portare il peso di un’emarginazione per la sua diversità. Per poi passare alle figure sanguigne e, volutamente sopra le righe, del padre di Antonio, che con orgoglio vanta le sue prestazioni erotiche, la sua fama di “sciupafemmine”, il suocero. Fino ad arrivare all’apparentemente dolce e candida Barbara, che non manca di agire con sprezzo impietoso, considerandosi offesa dall’inganno del marito, soltanto per pochi mesi. Ovviamente il matrimonio verrà annullato, in quanto non consumato.

    Bolognini ha saputo offrire nel film, sul piano formale, di cui peraltro stilisticamente ne è stato da sempre un indiscusso maestro, un eccellente risalto alla città di Catania, alle sue bellezze architettoniche, barocche, descritte nell’espressivo bianco e nero, coi suoi alternati chiaroscuri a evidenziare simbolicamente luci e ombre nei vari passaggi del racconto. Molte scene infatti si svolgono in esterni, tra strade, vicoli, piazze, quartieri, dove a un certo punto sembrerà quasi di sentire le voci diffuse dei pettegolezzi, commiserazioni e sarcastiche risatine, rivolte a una vicenda privata, divenuta ormai di dominio pubblico.

    Straordinaria per immedesimazione e finezza di sfumature, la recitazione di Marcello Mastroianni. Il grande attore riesce a dare sobria dignità, intelligente personalità, spirito riflessivo al suo Antonio, alla sua sfera omosessuale. Come magistralmente, con eguale vigore, farà anni dopo, col Gabriele di Una giornata particolare.

SALVATORE RAPISARDA

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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