SIGNORE & SIGNORI (1966) DI PIETRO GERMI

Dopo Divorzio all’italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1964), Germi conclude la sua Trilogia sulla satira di costume, trasferendosi dalla Sicilia al Veneto.

Nel 1965 egli diresse, infatti, il pluripremiato Signore & Signori (1966), descrivendo le vicende – fatte, per lo più, di reciproci tradimenti – di una benestante comitiva di amici del trevigiano.

    Comune denominatore dei vari capitoli è la circostanza che la trasgressione rimane lecita finché consumata in una dimensione privata. Superata questa soglia, essa è da censurare perché destinata ad infrangere la convenzione, o meglio l’istituzione: prima fra tutte il matrimonio.

Centrale, nel film, è proprio l’episodio dedicato all’amore extra coniugale tra Gastone Moschin, bancario, e Virna Lisi, cassiera. Non appena la relazione diventa di pubblico dominio, non solo la moglie di lui – bravissima Nora Ricci – entra in crisi, ma un intero equilibrio sociale sarà fatalmente compromesso. Il fedifrago marito perderà addirittura l’impiego perché – in un Italia in pieno boom economico, ma ancora arretrata nelle conquiste dei diritti civili – un uomo separato non poteva neppure fare l’impiegato, in quanto sospettato di essere un puttaniere, quindi inaffidabile.

Questa allegra brigata – fatta di vizi privati e pubbliche virtù – è capeggiata da Ippolita (Olga Villi, all’epoca già vedova di Don Raimondo Lanza di Trabia) ricca e morigerata signora, molto vicina ad una Chiesa sempre più maneggiona – la quale, alla fine, salverà tutti i maschietti della comitiva da una pericolosa denuncia per corruzione di minore.

Rispetto ai primi due film della Trilogia – appunto ambientati in Sicilia – qui l’occhio del regista si fa più caustico: l’istintiva simpatia che Germi nutriva per i meridionali, in Signore & Signori si focalizza infatti nella figura di un carabiniere siciliano (Aldo Puglisi), arguto spettatore della vicenda; come in Sedotta e abbandonata lo era invece un sonnecchiante, quasi fesso, carabiniere veneto.

Ma in Sicilia come in Veneto – sia pure con un’ iconografia diversa – i vizi e le virtù degli Italiani sono gli stessi. Nonostante il benessere post bellico – e a dispetto delle differenze eno-gastronomiche – non possiamo differenziarci più di tanto, perché in fondo rimaniamo tutti antropologicamente contadini e cristiani.

GALLERIA FOTO