PIETRO GERMI, HO RACCONTATO LE ITALIE

Dall’arretratezza del Sud alle “ciàcole” del Nord. Con i suoi film il regista genovese riesce quasi sempre a mettere d’accordo pubblico e critica

A Treviso c’è un paesaggio umano fatto apposta per incuriosire Pietro Germi, un regista arrivato al successo internazionale raccontando in due film, Divorzio all’italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1963), la Sicilia, cioè un’Italia opposta a questa, in tutti i sensi.

    «ll Veneto è come un acquarello», dice Germi. «È un mondo sfumato e più difficile da capire, in cui si ha l’impressione di doversi muovere con scarpe felpate, un paese civilissimo abitato da gente levigata, ma anche molto bizzarra.» Su questo sfondo Germi stava preparando la commedia, Signore e signori, che voleva raccontare con ironia le vicissitudini di una generazione, quella che si trovava tra i venti e i trent’anni alla fine della guerra. Il tutto in un ambiente particolare, la tipica città italiana media, piena di iniziative ma anche oppressa da paure conservatrici.

    «Io penso che la provincia sia un po’ uguale dappertutto», afferma il regista. «Siccome però qui si racconta un particolare microcosmo e i fatti avvengono in questa zona precisa, è chiaro che il film avrà un’intonazione molto veneta, molto “ciàcola” per intenderci.» Treviso è una città che negli anni passati è stata toccata dal boom senza rimanerne sconvolta. La rivoluzione micro-industriale che ha cambiato quasi tutto l’assetto economico del Veneto non l’ha proprio investita in maniera diretta. Ad appena mezz’ora di strada da una fumosa isola industriale di tipo lombardo come quella di Mestre e di Porto Marghera, proprio sul bordo di una via lattea di nuove “fabbrichette” sorte tra il Brenta e il Tagliamento, Treviso ha raggiunto un modesto benessere rimanendo quella di una volta: secondo Guido Piovene “la più dolce, la più segreta e la più greca città del Veneto”. Anche la più suscettibile, si potrebbe dire, vista l’ostentata indifferenza con cui ha accolto questi pittoreschi cinematografari venuti a frugare nella sua vita segreta per raccontarla poi in modo un tantino paradossale e satirico.

    Due anni fa, proprio di questa stagione, Germi girava in Sicilia Sedotta e abbandonata, circondato da un premuroso e generale rispetto. Folle da “Cantagiro” si facevano cuocere pazientemente dal sole per vedere un po’ di cinematografo dal vero. La città di Sciacca, onorata per la scelta, cercò di ricambiare in tutti i modi: dedicando al regista una mostra retrospettiva dei suoi film, facendolo cittadino onorario, infine regalandogli un bellissimo e inutile monastero del Trecento. Qui invece il regista deve fare i conti con l’eterna diffidenza veneta per tutto quello che anche marginalmente può disturbare una vita ben calibrata.

    Dopo il successo in tutto il mondo di Divorzio alt’italiana («Si vede che l’idea di ammazzare la moglie funziona dappertutto»), Germi è considerato dall’industria del cinema, americana compresa, un regista con la mano d’oro, uno che sa cosa vuole il pubblico e glielo dà, riuscendo ad accontentare anche i critici.

    Germi è un genovese introverso e taciturno. Diventa loquace solo se si parla di cinema e di politica. Nel cinema di questi tempi c’è aria di stanchezza. Non si fa che imbattersi in autori perplessi, gente che dichiara di avere le idee confuse. «Balle«, dice, «io diffido sempre di chi afferma di non saper più cosa dire. Le cose vere non nascono mai da uno stato di vera coscienza. Quando Rossellini fece Roma città aperta non aveva certo la convinzione di fare un capolavoro. Bisogna lavorare senza presunzione e senza cadere in equivoci intellettualistici. «ll cinema è un mestiere difficile.»

Lui, dopo quindici film – tra cui Il cammino della speranza (1950) e ll ferroviere (1956) – lo sa. Ancora adesso si chiede perché qualcuno dei suoi film ha mancato l’appuntamento col pubblico. Per esempio Un maledetto imbroglio (1959), tratto dal più famoso romanzo di Gadda, Quel pasticciaccio brutto de via Merulana. «Secondo me era un film bellissimo, ricco di elementi drammatici e divertenti, pieno di personaggi e di tipi, con una profonda analisi d’ambiente. Be’, è andato benino, ma non più di questo. Mai capito perché.»

 

NERIO MINUZZO

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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