UN MALEDETTO IMBROGLIO (1959). UN GIALLO ANTE LITTERAM

Qualche annetto prima che un certo Mario Bava ci mettesse definitivamente lo zampino, stabilendo con La ragazza che sapeva troppo (1963) le coordinate di un genere che tanta fortuna farà – il cosiddetto Giallo all’italiana – diversi furono gli autori che tra gli anni ‘50 e i primi ‘60 si approcciarono alle più cupe tematiche del mistery e del noir. Cronaca di un amore (1950) di Michelangelo Antonioni, Il rossetto (1960) di Damiano Damiani, L’assassino (1961) di Elio Petri o La commare secca (1962) di Bernardo Bertolucci possono tutti essere considerati perfetti esempi di gialli in odor di futura consacrazione.

    In questo scenario non costituisce eccezione un altro degli autorevoli italiani più importanti ed influenti del periodo, che già con La città si difende (1951) aveva dimostrato di sapersi muovere bene all’interno del genere crime. Con Un maledetto imbroglio (1959) Pietro Germi rielabora, dirige e interpreta (nel ruolo di protagonista) il celebre romanzo di Carlo Emilio Gadda Quel pasticciaccio brutto de via Merulana secondo uno stile personale, certamente più razionale e centrato (finale compreso), trattenendo però in maniera decisa gli snodi giallo/polizieschi e inserendovi nel contempo una certa critica sociale di fondo nei confronti dell’ipocrisia borghese e in generale della miserabilità umana. Quest’ultima è, infatti, una delle più eclatanti caratteristiche della poetica e della cifra stilistica germiana.

    Roma. All’interno di un signorile condominio di Piazza Farnese viene commesso un furto ai danni di un collezionista d’arte, il commendatore Anzaloni. Delle indagini viene incaricato il capo della squadra mobile romana, il commissario Ingravallo (Germi medesimo), coadiuvato fra gli altri dal maresciallo Saro (Saro Urzì), intuendo subito alcune stranezze tanto nel comportamento del derubato quanto nelle modalità del furto stesso. Durante gli interrogatori di rito, Ingravallo fa la conoscenza di una giovane cameriera che prestava servizio nello stabile, Assuntina (Claudia Cardinale) e del suo fidanzato Diomede (Nino Castelnuovo), prossimi alle nozze. Pochi giorni dopo, però, un nuovo fatto sconvolge la comunità di quel palazzo. Una donna, la signora Liliana Banducci (Eleonora Rossi Drago), viene rinvenuta assassinata all’interno del suo appartamento e il commissario Ingravallo sospetta che i due eventi delittuosi possano essere in qualche modo collegati. Fra i sospettati dell’omicidio figurano il marito della donna, Remo Banducci (Claudio Gora), inspiegabilmente estromesso dal testamento che la moglie aveva redatto, e l’ambiguo cugino Massimo Valdarena (Franco Fabrizi), un pusillanime a caccia di soldi nonchè sedicente medico.
Riuscirà il nostro tenace commissario a risolvere il “pasticciaccio” in cui si trova a dover indagare?

    Quale brillante crossover di generi, tra poliziesco, giallo e commedia di costume, Un maledetto imbroglio costituisce non soltanto una delle opere più belle e riuscite del grande cineasta genovese, ma appare oltremodo importante per essere uno di quei film spartiacque che anticipano le nuove tendenze di certa cinematografia noir italiana a venire. Se l’elemento giallo/poliziesco appare preponderante, in quanto le indagini sul furto ma ancor di più sull’omicidio con relativa ricerca del colpevole fino alla fine sconosciuto (whodunit) acquisiscono importanza centrale nell’economia della narrazione, la pellicola fa anche sfoggio di situazioni, dialoghi e dinamiche proprie della commedia all’italiana. Il taglio spesso grottesco (si pensi alla scena della dentiera) che riesce a strappare più di un sorriso ben si amalgama allo scavo psicologico dei vari personaggi cui Germi riesce a conferire adeguato spessore, a partire dal protagonista che egli stesso impersona, un sagace commissario dal pugno duro ma dal cuore tenero, che detesta la falsità di certo perbenismo (il ceffone al cugino Valdarena) ma non esita a voler proteggere i più deboli. Lo affianca un altrettanto titanico Saro Urzì, grande caratterista catanese e storico sodale artistico di Germi. Ottima e intensa la giovanissima Claudia Cardinale, indimenticabili Franco Fabrizi e Claudio Gora.

    Bella la fotografia in un limpido bianco e nero curata da Leonida Barboni, che immortala elegantemente la Roma pre-boom di fine anni ‘50, e meravigliosa la colonna sonora di Carlo Rustichelli, la cui struggente Sinnò me moro è cantata dalla figlia Alida Chelli.

    Capolavoro della cinematografia italiana, imperdibile per tutti gli amanti del Giallo all’italiana che vogliono fare un tuffo indietro nel tempo, potendo cogliere intuizioni e sfumature che verranno riproposte a piè sospinto nei decenni a venire.

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