ROSSELLINI, LA SICILIA ED IL NEOREALISMO

Sul principio degli anni 50, Roberto Rossellini consolida un nuovo genere cinematografico – dalla critica definito intimismo, ma che il regista rivendicherà come “neorealismo dell’anima” – tramite la rappresentazione di donne, per lo più benestanti, che progressivamente entrano in distonia con l’ambiente in cui vivono, finendo col non sapere più comunicare.

    Ogni cambiamento necessita di un luogo che ne consacri la portata e Rossellini, in tal senso, opterà per la Sicilia, ambientandovi Stromboli, terra di Dio, primo film della sua nuova Trilogia che vedrà sempre la Bergman per protagonista. Stromboli narra di una profuga dell’Est che, per convenienza, sposa un pescatore dell’isola. Ben presto, il contesto, coatto, chiuso, opprimente destabilizzerà la donna, al limite stesso della sopravvivenza. Ella dialogherà col vulcano che più volte la corteggia a gesti estremi; vulcano che – forse nelle intenzioni del regista – ben rievoca quel latente senso di morte che caratterizza la Letteratura siciliana. Qui la crisi della protagonista è individuale, esistenziale, a tratti mistica.

    Diverrà crisi duale, in Viaggio in Italia: il film, infatti, vede al centro una coppia di inglesi, benestante e senza figli, che giunge a Napoli per gestire la vendita di una splendida villa, lasciata loro in eredità da un vecchio zio che si era, appunto, fermato a vivere in Italia durante un letterario Grand Tour. Appena giunti, la vitalità dell’ambiente – fatto di luce, odori e donne incinte – comincia a contaminare la protagonista, al punto da farle mettere in discussione se stessa ed il rapporto col marito. Una Napoli matrigna risveglia l’inconscio della donna che, così, inizia un viaggio nella città, alla ricerca di sé. La crisi col marito – nel frattempo rifugiatosi a Capri in cerca di evasione – diventa profonda: i due decidono di divorziare, ma proprio in quel momento saranno travolti per strada da una processione che li distanzierà, facendoli perdere. Preverrà allora in entrambi l’istinto di cercarsi, maturando di non poter vivere separati: finale manzoniano, molto nelle corde del cattolico Rossellini.

    Questa dimensione duale, diverrà collettiva, sociale, politica in Europa ’51, non a caso ambientato a Roma. Qui la protagonista è una ricca americana trapiantata appunto a Roma: a seguito della drammatica perdita del figlio, ella rivedrà completamente le proprie posizioni, personali e sociali, e sarà pertanto destinata ad essere abbandonata da tutti. La “deriva cattocomunista” della donna sarà in particolare condannata dall’anziana madre, irremovibile nelle sue posizioni, ed in questa dinamica può persino leggersi una velata denuncia di Rossellini al maccartismo imperante in quegli anni in America ed al conseguente clima di caccia alle streghe che ne conseguì, anche in ambito cinematografico. Il dolore per il terribile lutto diverrà, per la protagonista, amore universale, assoluto, impersonale.

    Insomma, una memorabile Trilogia che ha per filo conduttore quello delle conversioni, le quali – se femminili – non vengono perdonate, perché destabilizzanti di un ordine precostituito.
Ed in questo senso la Sicilia non poteva non assurgere a fonte primaria e creativa di questo nuovo genere cinematografico, destinato a folgorare i nostri cugini francesi.

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