DAL NEOREALISMO AL “CINEMA DI MANIERA”

Tramontato il neorealismo alla fine degli anni quaranta, Roberto Rossellini sperimenterà, durante il decennio successivo, un genere diverso, assolutamente innovativo, l’intimismo, da alcuni definito anche neorealismo dell’anima.

    Ancora più avanti, sul principio degli anni Sessanta – quando l’Italia viveva il suo boom economico ed era già in atto quella “mutazione antropologica” destinata ad abbrutirci tutti – a Rossellini venne chiesto di girare alcuni film ambientati durante il secondo conflitto mondiale, per trattare nuovamente quei temi – propri del cinema neorealista – che anni prima il pubblico italiano aveva, invece, rifiutato. Si inseriscono, in questo contesto, Il Generale Della Rovere (1960) e Era notte a Roma (1961).

    A ben vedere, si trattò di un falso ritorno alle origini, perché il neorealismo non può ontologicamente prescindere dalla simultaneità temporale dell’evento rappresentato; soprattutto per Rossellini che del neorealismo aveva fatto una questione morale: la descrizione di un evento – il più delle volte problematico – se contemporanea al suo divenire, assume i caratteri della denuncia, postulando la necessità di trovarne una soluzione sul piano economico e sociale.

    Viceversa, la decontestualizzazione di un accadimento, e quindi la sua narrazione postuma, conferisce al neorealismo connotati “manieristici”, avvicinandolo pericolosamente alla maschera. Ma agli italiani piacque, invece, la dinamica opposta: recuperato l’ordine sociale ed il benessere economico, essi vollero comodamente guardare indietro, alla tragedia che fu, non senza un certo distacco. Del resto, noi siamo il popolo che alla commedia letterata, preferì la commedia dell’arte: e non a caso il successivo film di Rossellini – forse indignato da tutto ciò – fu girato in costume: Vanina Vanini, tratto dall’omonimo romanzo di Sthendal, ove Sandra Milo – lapidariamente definita dalla critica “Canina Canini” – interpretava una principessa romana, innamorata del suo bel carbonaro.

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