IL SOTTOTESTO DECADENTE DE “IL SERVO” (1963) DI JOSEPH LOSEY

Il progressivo, sottile ribaltamento dei ruoli sociali tra un subdolo domestico e il suo ricco datore di lavoro, dal carattere fragile e instabile. Il (quasi) tutto si svolge in una sontuosa casa di stile barocco, piena di specchi, dove si riflettono, si spiano a più riprese in modo diretto o circospetto i protagonisti, che si muovono come delle pedine nel gioco degli scacchi, osservati e seguiti dai movimenti elegantemente geometrici della macchina da presa.

    Capolavoro assoluto di Joseph Losey, tratto come molti dei suoi film da una finissima sceneggiatura del drammaturgo teatrale Harold Pinter, ha il prevalere contenutistico di tematiche assai care all’autore americano, quali il doppio, i labirintici meccanismi psicologici, le strategie mentali.

    Tutto quanto ne Il servo trova un fertile sviluppo molto compiuto, cesellando ogni passaggio narrativo, ove si consuma una densa battaglia degli istinti primordiali tra i due uomini contrapposti, affiancati e spalleggiati dalla presenza di due donne. Il terreno di scontro ha una dominanza alternata di silenzi carichi di messaggi ostili, di sguardi che di nascosto si studiano a distanza ravvicinata in un estenuante gareggiare alla sopraffazione.

    Un’originale rappresentazione, lucida metafora di lotta classista, borghesia-proletariato, visivamente resa da immagini in bianco e nero dal taglio espressionistico, nel quale la magistrale regia di Losey, la neutralità di giudizi e riflessioni morali, cifra stilistica di questo eminente Maestro di cinema, riesce a scandagliare con dovizia i meandri ambigui, indecifrabili della natura umana.

    Di superba levatura, accumulo minuzioso di sfumature, le interpretazioni da parte di attori di gran talento e classe: Dirk Bogarde, James Fox, Sarah Miles.

SALVATORE RAPISARDA

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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