LE MANI DELL’ALTRO (1924) DI ROBERT WIENE: DALLA MUTILAZIONE ALLA FOLLIA. UN FILM DI IERI E DI OGGI

Le mani dell’altro (1924), film muto il cui titolo originale è Orlac’s Hände, è una delle ultime opere significative per tematiche e impronta artistica che rappresentano l’essenza dell’espressionismo tedesco.

Diretto da Robert Wiene, uno dei maggiori cineasti di questa corrente a cui si deve anche la paternità de Il gabinetto del dottor Caligari (1919), monumento eterno della settima arte, tutt’oggi considerato il manifesto di tutta l’avanguardia da cui è stata generato, che a distanza di cinque anni ha cercato di bissarne il suo successo di pubblico che, però, nei fatti, non corrispose alle aspettative sia del regista che della casa di produzione, la Pan-Film.

Tratto dal romanzo dello scrittore francese Maurice Renard, Le mani di Orlac (1921), e sceneggiato da Ludwig Kerzt, è una pellicola che ha molto da comunicare anche allo spettatore di oggi non solo per il genere a cui può essere ricondotto, quello fanta-orrorifico con delle evidenti venature di giallo-poliziesche che tanto continuano ad ispirare i cineasti contemporanei, ma anche per la fotografia e l’utilizzo del bianco e nero particolarmente contrastato che riesce a rappresentare l’atmosfera allucinata e prossima alla follia in cui, improvvisamente, si ritrova il protagonista, Orlac, personaggio interpretato da Conrad Veidt (il Cesare di Caligari) che anche in quest’opera è riuscito ad esprimersi al massimo del suo potenziale comunicativo, confermandosi come uno degli attori simbolo del cinema muto tedesco.

Paul Orlac è un pianista di fama mondiale che si ritrova mutilato delle sue mani in seguito ad un tragico incidente ferroviario; da qui inizia il suo dramma sia fisico che psicologico dovuto alla perdita di quelli che rappresentavano i più preziosi strumenti indispensabili per il suo successo e per la sua stessa identità. Una soluzione, però, al suo dramma la trova un medico che, anche grazie alle preghiere di sua moglie, Yvonne (Alexandra Sorina), riesce a trapiantare le mani di un altro uomo, Visseur, un assassino morto perché condannato alla ghigliottina.

Potrebbe sembrare la soluzione finale del brutto incidente ma la trama si complica ancor di più: Orlac scopre l’identità dell’uomo a cui appartenevano le mani trapiantate sul suo corpo e cade in un vortice di paranoie, allucinazioni, tormenti e paure che lo spingono non solo al rifiuto dei suoi “nuovi” arti ma lo imboccano dritto nel tunnel della follia credendosi egli stesso l’artefice di una serie di omicidi che si susseguono proprio dopo il suo intervento. Questa condizione culmina anche con la richiesta al chirurgo, artefice del trapianto, di mozzargli di nuovo le membra maledette.

L’atmosfera nella quale si ritrova il protagonista si colora di spiccate tinte scure, proprie di chi vive in una condizione prossima alla follia ma, improvvisamente, cambia il tono della storia indirizzandosi verso il mystery. Dai frame con le espressioni particolarmente accentuate di Orlac, soprattutto delle sue mani, che condensano la turbolenta energia dell’irrazionale che irrompe sul reale alterandolo, ci si sposta verso una dimensione in cui la ragione si insinua nella storia, mette ordine alla realtà e stabilisce un finale che non prevede spazio al soprannaturale ma sfata un tranello ardito ad hoc di cui Orlac era stato la vittima.

Sono molte le scene che aumentano il fascino e la suggestione di tutta la pellicola: la notturna dell’incidente del treno, la testa che appare al protagonista durante la degenza in clinica, il bacio che la cameriera dà alla mano di Orlac in cui è possibile anche vedere un quid di erotico.

La sceneggiatura è molto più essenziale e meno espressionista se rapportata a quella di Caligari, quasi a presagire un momento di trasformazione della stessa corrente seppur per tematiche affrontate e per i generi che vi si possono individuare la si può arrogare come una tra le più famose ed importanti opere degna rappresentante dell’avanguardia tedesca. E non solo per la sua qualità artistica, già apprezzata dal pubblico presso il quale il film ha riscosso un grande successo (nonostante per via dei contenuti fosse stato vietato ai bambini), ma per l’utilizzo di taluni temi, quale quello della mutilazione e del trapianto di arti, molto cari al filone fantascientifico che tanto hanno ispirato ai cineasti dei nostri tempi.

Diversi, infatti, i remake della pellicola tra cui Mad Love (1935) di Karl Freund con protagonista Peter Lorre, attore famoso per aver interpretato M – Il mostro di Düsseldorf (1931) di Fritz Lang, film a cui si aggiunga la versione inglese del 1960 di Edmond T. Grenville con Mel Ferrer, per arrivare a No Control (1991) di Eric Red.

Da sfondo una costante accomuna Le mani dell’altro al Gabinetto del dottor Caligari ed è quella della follia, dimensione che fa paura ma contemporaneamente attrae gli uomini di tutti i tempi; pregevole l’analisi di questa condizione patologica della mente umana che Wiene porta sul grande schermo riuscendone con grande maestria a rendere visibili anche i suoi aspetti più reconditi e misteriosi.
Tutti presupposti che ne fanno un film à la page, oggi come ieri.

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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