IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI (1920). IL TRIONFO DELL’ESPRESSIONISMO TEDESCO, INNOVATIVO ANCORA OGGI

Il gabinetto del dottor Caligari (1920), film diretto da Robert Wiene, con la sceneggiatura di Hans Janowitz e Carl Mayerha, ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema mondiale. Considerato una pietra miliare della settima arte, rappresenta la sintesi di un periodo storico particolarmente cruciale per tutta l’Europa.

    Approcciarsi a tale opera è come fare un viaggio all’interno dell’espressionismo tedesco del quale rappresenta i suoi caratteri fondanti: la rappresentazione soggettiva della realtà mediante schemi che rimandano all’irrazionale, al deformato, alla follia. La sua posizione fu, pertanto di netto contrasto a quelli che erano gli ideali materialistici della borghesia liberale, trionfante nella Repubblica di Weimar.

    Un movimento che nasce nel mondo della pittura e del teatro per poi rivelarsi nel pieno della sua espressività nel cinema teutonico, appena nato insieme all’arte cinematografica, dando voce anche al paranormale, all’esoterismo, all’ipnosi, ed a tutte quelle discipline che oggi si è soliti raggruppare nella parapsicologia o nel paranormale. Tutti ambiti che lasciano alla porta il lume della ragione ma dei quali se ne apprezza il fascino misterioso che stravolge i canoni euclidei della realtà spazio temporale.

    Uno stravolgimento di prospettiva che il film di Wiene, progenitore del genere horror e fantastico, prepara il terreno fertile per altri due mausolei del cinema espressionista, Nosferatu ( 1922) di Murnau e Metropolis (1926) di Lang, riuscendo a rendere tangibile un’opera che parla allo spettatore un linguaggio nuovo, capace di arrivare in fondo ai meandri più reconditi ed oscuri dell’anima, ovvero il posto delle tenebre ove la ragione cessa di esistere. Due sono gli elementi importanti sui quali si struttura: la doppia personalità e la difficile distinzione tra realtà ed allucinazione. Quelle che il regista crea all’interno della pellicola sono regole nuove, con una trama che stravolge il tempo, saltando tra presente e passato, con personaggi che si muovono in uno spazio che sembra azzerare tanti anni di conquiste prospettiche, convocando a sé la piena bidimensionalità, propria del mondo onirico.

    Il film è stato girato esclusivamente in interni costruiti ad hoc dallo scenografo e pittore di fama (non a caso uno dei maggiori della pittura espressionista) Walter Rohrig, quasi ad imitare le scene del teatro. Qui, nulla è lasciato al caso, sia le luci che i corpi in cui predominano le forme cuneiformi, dalle porte alle strade che si sviluppano a zig zag, restituendo una dimensione, per l’appunto, alterata. Così come alterati sono i volti dei corpi dalle espressioni portate al massimo dell’espressività grazie al trucco estremamente pesante. Geniali sono gli strumenti di regia dei quali Wiene si serve per restituire tali effetti e, più in particolare, l’utilizzo dell’“angolo olandese”: la macchina da presa è messa in posizione inclinata affinché l’orizzonte risulti in diagonale rispetto al bordo inferiore dell’inquadratura. Da qui la resa di un mondo deformato ed una realtà alterata propria di chi vive in una condizione di trance.

    La trama, divisa in sei atti, prende vita dal racconto di uno dei personaggi, Francis (Friedrich Feher), in un presente non definito, forse quello dello spettatore, destinatario ideale dell’opera (come direbbe Umberto Eco) senza tempo né spazio. Ad ascoltarlo è un uomo anziano mentre il tempo ritorna al passato: siamo nel 1830 ad Holstenwall, un borgo della Germania, in una fiera: tante le persone che si muovono, ma una, in particolare, capta l’attenzione: un uomo panciuto, dallo sguardo perfido, gli occhiali rotondi, dietro i quali appaiono due occhi maldestri ed un sorriso beffardo. Ha un cilindro per cappello ed un bastone nelle mani, nascoste da un paio di guanti neri. È il dottor Caligari (Werner Krauss). Porta con sé una bara che contiene il corpo di un uomo, Cesare (Conrad Veidt) e si presenta al pubblico accorso numero all’evento descrivendo la sua attrazione:

“Avvicinatevi gente, qui potete vedere Cesare il sonnambulo”.

La gente è incuriosita ma avverte anche paura, perché quell’uomo aggiunge che il sonnambulo è capace di predire il futuro. Un’atmosfera sinistra irrompe improvvisa nel piccolo villaggio: accadono degli omicidi uno dei quali è quello del segretario della fiera che, non a caso, si era impettito alla vista dello strano personaggio con gli occhiali e la bara.
Tra i presenti alla fiera, Alan (Hans Heinrich von Twardowski) amico di Francis: entrambi sono innamorati di una bella ragazza, Jane (Lil Dagover) ma non mostrano tra di loro rivalità; è proprio Alan che chiede una predizione al sonnambulo ma costui gli annuncia che la sua morte arriverà l’indomani. E non si sbaglia perché viene ucciso con una pugnalata destando il dolore dell’amico fedele e della giovane Jane. Tutti sembrano capire che il sonnambulo sia l’autore dell’omicidio ma l’astuto Caligari fa in modo che i sospetti vengano deviati. Immaginando di essere spiato da Francis, mette nella bara un manichino al posto di Cesare lasciandolo libero di andare nella notte per le vie del paese alla ricerca della prossima vittima che egli (Caligari) ha già designato. E si tratta proprio della bella Jane. Si apre ora una sequenza di frame che, proprio come dipinti, sono entrati nella memoria collettiva come le scene più belle del cinema di tutti i tempi.

    Ma andiamo con ordine nella narrazione: Cesare, sotto ipnosi, entra nella stanza da letto della donna, si avvicina col suo pugnale ma, improvvisamente, ritorna lucido; la guarda negli occhi e se ne innamora. Le risparmia la vita, fugge con lei tra le sue braccia fin su una trave per sottrarsi alla folla che l’insegue ma, sfinito, abbandona la sua preda mentre cade per terra privo di vita.

    Il mostro dagli occhi neri e dallo sguardo allucinato, senza anima e manovrato da una volontà omicida alla quale non può sottrarsi, salva la donna e mostra al mondo la sua anima fragile ed anche libera. Ma il disvelamento è vicino anche per Caligari: Francis, aiutato dalla polizia, scopre l’inganno del manichino mentre Caligari, vedendosi braccato, si rifugia in un manicomio del quale si capisce esserne il direttore. Vien fuori anche la verità ed è proprio Francis a ricercarla nello studio del dottore, ove scopre non solo i suoi libri che trattano di ipnotismo ma anche un suo diario ove legge proprio di un medium, Caligari, esperto di ipnosi e sonnambulismo, che nel Settecento, in Italia, era riuscito a far commettere degli omicidi ad un uomo portandolo in una condizione di trans e riuscendo a comandarlo secondo il suo volere.

    Sulla scorta del suo esempio, il dottor Caligari era riuscito ad impossessarsi della volontà di Cesare e con l’ipnosi l’ha indotto a nuovi omicidi. Per lui non rimane che la camicia di forza proprio nel manicomio che aveva diretto. Ma il pazzo è solo il direttore del manicomio? O Forse il vero pazzo è proprio l’autore del racconto, il Francis seduto sulla panchina? A vedere il finale del film sembra che sia vera la seconda ipotesi mentre lo spettatore rimane sviato e, quasi, allucinato, da un’opera che oggi più di ieri è capace di affascinare e, giustappunto, ipnotizzare la sua mente.

    Sono diversi i registi che a questo film si sono ispirati fino ai nostri giorni; basti pensare a Tim Burton con le sue creature ed ambientazioni gotiche o al fantasy diretto da Brian De Palma, Il fantasma del palcoscenico (1974) o, ancora, agli horror dei morti viventi di Romero.

    Va ricordato, inoltre, che nella Palermo dell’avvento del cinematografo, la prima casa di produzione siciliana, ossia la Lucarelli Film, produsse il giallo-poliziesco Ipnotismo (1914), diretto Nazareno Malvica di Villanueva. Un’opera scomparsa, ma che apre un grande varco nella scoperta di una realtà, quale quella trattata nel film di Wiene, che destò molto interesse anche in Sicilia che si conferma, ancora una volta, terra al centro dei fermenti culturali e (in questo caso) legati al paranormale. Non a caso, proprio a Cefalù, nel 1920 soggiornò uno dei maggiori esponenti dell’esoterismo internazionale, il britannico Aleister Crowley, considerato il fondatore del moderno occultismo. Proprio nella cittadina normanna fondò la comune Abbazia di Thelema, ma, da lì a poco, fu espulso dal Regno dal regime mussoliniano.

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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