LA DONNA DELLA DOMENICA (1975). QUANDO IL FILM SUPERA IL ROMANZO DA CUI È TRATTO

La donna della Domenica (1975) di Luigi Comencini rappresenta senza dubbio uno dei migliori lavori afferenti al genere “commedia gialla” all’italiana, il quale si basa sul soggetto del fortunato romanzo omonimo di Fruttero e Lucentini del 1972 che raccoglie un successo editoriale tale da divenire, in seguito, una cospicua coproduzione italo/francese.

    L’ottimo budget a disposizione permette di acquisire un cast artistico e tecnico di altissimo livello, ingaggiando un tris stellare composto da Marcello Mastroianni, Jacqueline Bisset e Jean-Louis Trintignant, e contornato da un parterre di caratteristi di tutto rispetto, tra cui spiccano Pino Caruso, Giuseppe Anatrelli (il geometra Calboni di fantozziana memoria) e Lina Volonghi. La regia viene invece affidata a Luigi Comencini che aveva già avuto esperienza nel giallo con Senza sapere niente di lei (1969). Compare inoltre in un cameo il celebre truccatore Gil Cagné.

    L’arrogante ed erotomane architetto Garrone viene ritrovato morto in casa sua, colpito alla testa con un singolarissimo oggetto… un fallo di pietra! Il commissario Santamaria (Mastroianni), coadiuvato dal fido commissario De Palma (Pino Caruso), comincia ad indagare fra gli ambienti della Torino borghese, popolata da personaggi viziosi e annoiati. I sospetti si concentrano inizialmente verso la signora Anna Carla Dosio (Jacqueline Bisset), moglie di un ricco industriale, che aveva fatto l’errore di scrivere una lettera – mai spedita e ritrovata dai domestici licenziati – al suo amico Massimo Campi (Trintignant) in cui faceva riferimento al fatto di “dover far fuori l’architetto”.

    Successivamente il cerchio dei sospettati si allarga ancora di più, in quanto ognuno di questi aveva un potenziale movente ma nessuno un alibi che potesse scagionarlo del tutto. Fra retate della polizia volte a sgominare un giro di prostituzione nei giardini delle anziane sorelle Tabusso (Lina Volonghi e Maria Teresa Albani), proverbi piemontesi come piste da seguire, e Santamaria che subisce sempre più il fascino della Dosio, il questore (Anatrelli) appare preoccupato per le ripercussioni che le indagini possono avere nei confronti della Torino bene, ostacolandole.
Nel frattempo c’è però chi ha capito tutto, riuscendo a scoprire il vero assassino di Garrone, il quale però viene prontamente messo a tacere dal killer stesso. Questo secondo delitto sarà risolutorio e permetterà a Santamaria di arrestare il colpevole, guadagnandosi alla fine anche un premio particolare.

    La donna della Domenica è un perfetto esempio di come commedia e giallo possano brillantemente coesistere senza prevaricarsi a vicenda. La seriosa questione del “whodunit” (chi è stato?) viene sì smorzata dai toni farseschi e finanche comici che caratterizzano la pellicola, ma non viene dagli stessi assolutamente inficiata in quanto la voglia di arrivare fino alla fine rimane sempre molto alta e senza cali di attenzione. Assassino e movente sono peraltro per nulla scontati.

    La parte relativa alle indagini e al confronto tra i vari personaggi è sicuramente la più interessante e la più spassosa al tempo stesso, caratterizzata da siparietti grotteschi (alcune battute sono da antologia) e a cui viene data enfasi per la presenza di diversi dialetti regionali.

    Comencini ci presenta dapprima ciascuno dei personaggi indagati, con i propri vizi e i propri scheletri nell’armadio, riunendoli poi verso la fine nella celebre sequenza al mercato del Balon in una Torino assolata e desolata (fotografata dal direttore Luciano Tovoli), dove avviene il secondo omicidio. Trattandosi di un regista di tal calibro la direzione è ovviamente eccellente, senza un’inquadratura che non sia al proprio posto e gli attori che riescono veramente a dare il meglio di sè, tutti convinti e motivatissimi. Mastroianni come sempre eccellente nei panni del commissario, il quale deve muoversi con cautela tra i sospettati in un luogo che non è il suo (romano emigrato al Nord). Pregevoli gli attimi in cui immagina i principali indiziati (Bisset/Trintignant) colpire a morte l’architetto mentre questi ridono di gusto ripensando all’arma del delitto. Gli fa da spalla il compianto attore palermitano Pino Caruso, recentemente scomparso, che si lancia, fra l’altro, in alcune delle battute più celebri del film. Bellissima e sofisticata la Bisset, vera icona di sensualità di quel periodo; ottimo e a suo agio Trintignant nei panni del ricco omosessuale che litiga a più riprese col fidanzato Lello (Aldo Reggiani).

    Per ultima, ma non ultima, merita menzione la colonna sonora di Ennio Morricone che da il giusto ritmo alla vicenda ed il cui brano principale ricorda molto da vicino la celebre marcetta del capolavoro di Elio Petri: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970).

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