ANNA MAGNANI, MAMMA TRAGICA, DONNA INDOMITA

Anna Magnani, mamma tragica, donna indomita

Le confidenze al nostro settimanale di Anna Magnani, che nel dopoguerra ha legato il suo volto e il suo temperamento alla clamorosa affermazione del cinema italiano sul piano internazionale. L’autoritratto inedito della protagonista di Mamma Roma, Roma città aperta e La rosa tatuata (premio Oscar 1956).

Oggi sono contenta, ho avuto un rimborso dall’ufficio tasse, mi sento piena di sbalordimento per Ia loro umanità e la mia bravura. Tre milioni e settecentomila lire di arretrati. Mi stavano ammazzando, massacrando, ma io ho studiato per due mesi il problema, e perché ti impongono questo, e perché ti levano quello, e i corsi, i ricorsi, l’anno solare, poi sono andata ad affrontarli da sola, senza nemmeno l’avvocato. Ah, che spettacolo quei volti pallidi, quelle pupille piangenti, da animali braccati! Sembrava un capitolo di Il processo di Kafka, a uno sportello c’era una vecchina che si batteva per cinquemila lire, cercava di convincere l’impiegato che lei non poteva, io ho urlato: «Non la possiamo aiutà?»[….]

Ma cos’è questo presentarmi a ogni costo come una Elettra chiusa, solitaria, delusa? Come ve lo devo spiegà che so’ allegra, che ho la ruzza, che rido, che essere la Magnani mi diverte da morì e gongolo tutta se la gente mi riconosce per strada, se il vigile urbano mi dice continuando a dirigere il traffico: «Ciao, Nannarè?». Insomma: è la stessa storia di quando la gente si meraviglia perché la mia casa è piena di buongusto e di libri. Ma quante volte ve lo devo spiegà che non son stata raccattata per strada, che ho fatto fino alla seconda liceo, che ho studiato pianoforte otto anni, che ho frequentato l’Accademia di Santa Cecilia? O come quando sostengono che sono nata da padre egiziano in Egitto. Ma io son nata a Roma, da madre romagnola e padre calabrese, in Egitto mia madre ci andò dopo che m’ebbe ebbe avuta. Aveva diciott’anni, non era sposata e a quell’epoca era uno scandalo, così andò in Egitto e io restai con la nonna: qui a Roma. Perché non c’è nessuna vergogna, sia chiaro, a ripetere che io non ho il nome di mio padre, ho quello di mia madre, che mio padre non l’ho mai conosciuto. E allora perché mi vogliono a tutti i costi egiziana? [….]

Parliamoci chiaro. Da anni i giornalisti continuano a parlare del mio folle amore per Rossellini, ma vogliamo dire la verità? Era Rossellini che mi stava addosso, che non mi lasciava vivere. Non io che correvo appresso a lui. Se quel folle amore fosse esistito anche in me, avrei saputo mantenerlo, non me lo sarei lasciato scappare. Rossellini poi può rispondere quello che vuole. Dice tante cose Rossellini. Tempo fa ha dichiarato perfino di non aver mai rivisto, mai, Roma città aperta e Paisà: e aveva rivisti un mese prima con me in un cineclub. Oddio! Non dovrò mettermi a parlar dell’amore?

«L’amore è una cosa che mi disturba tanto. L’amore è un girare a vuoto e alla fine non ti resta nulla in mano: sì, l’ho detto, ma l’avrò fatto in un momento di depressione. L’amore in sé, finché dura, non mi disturba affatto. Dà coraggio, dà sicurezza, fa trascurare le cose senza importanza. Io ci credo. È al grande amore che non ho mai creduto. Mi si citi l’esempio di un grande amore, uno vero, con nomi, cognomi, indirizzi, non uno della leggenda, e ci crederò. I grandi amori, cari miei, non esistono: son fantasie da bugiardi. Esistono solo piccoli amori che durano un periodo di tempo più o meno breve. Per questo, tutte le volte che io ho amato un uomo, non me la sono mai presa troppo. l’ho amato, sono stata gelosa persino delle mosche, ma sapendo che doveva finire. E quando finisce… si piagne un po’, ma poi se ne esce. Passan due mesi, tre mesi, lo ritrovi per strada, e ti sembra impossibile aver sprecato il sonno e le lacrime dietro a lui. Puff. Le donne come me si attaccano solo agli uomini con una personalità superiore alla loro: e io non ho mai trovato un uomo con una personalità capace di minimizzare la mia. Le donne come me subiscono solo gli uomini capaci di dominarle: e io non ho mai trovato nessuno che fosse capace di dominarmi. Ho trovato sempre uomini, come definirli? Carucci. Dio: si piange anche per quelli carucci, intendiamoci, ma son lacrime da mezza lira. Incredibile a dirsi, il solo uomo per cui non ho pianto lacrime da mezza lira resta mio marito: Goffredo Alessandrini. I’unico, fra quanti ne ho conosciuti, che stimi senza riserve e al quale sia affezionata. Quando lo rivedo provo sempre una immensa tenerezza. Non c’è più niente tra noi: anche se non siamo riusciti ad avere il divorzio, io vivo la mia vita e lui s’è rifatto una famiglia. Ma devo aiutarlo lo stesso perché se lo merita. Certo non furono rose e fiori, anche con lui. Lo sposai che ero una ragazzina e finché fui sua moglie ebbi più corna di un canestro di lumache. Non facevo che piangere, lamentarmi, vorrei sapere qual è la donna che sopporta stoicamente le corna malgrado questo, però, v’è sempre stata in lui una così profonda onestà, una così profonda umanità, una così profonda eleganza. Io dico le parolacce ma odio talmente la volgarità. Senza considerare, poi, che le parolacce sono un privilegio di pochi e non significano volgarità.

Le bestie sono più umane degli uomini

Amici? Pochi. In un modo o nell’altro riescono sempre a ferirmi, o a tradirmi: ed essere traditi in amicizia è molto peggio che esser traditi in amore… Io, per il mio prossimo, perdo un sacco di tempo, cerco sempre di fare del bene, anche se non è un bene da monumento equestre: ma tutto sommato ci comprendiamo pochino. Succede così raramente di incontrare una persona umana fra il prossimo. Son più umane le bestie degli uomini e ogniqualvolta mi accorgo di questo mi viene una tale voglia di andarmene, ritirarmi in campagna, dove nessuno mi veda, tra i cavalli, tra i polli. Davvero, sono sei mesi che mi cerco una tenutella in campagna. Ah! Che meraviglia non usar più le automobili, non sentir più la puzza, non subir più la gente; stamani in via del Tritone c’era un ingorgo, per poco mi svengo, e quel fracasso di clacson, quella puzza di benzina, quella mancanza di aria [….]

Non vedo l’ora di non far più l’attrice, di non esser più perseguitata dal mondo in cui vivo! La popolarità mi piace, l’ho detto, embè? Chi me la leva se vo’ star in campagna? Della

carriera che ho avuto sono fiera. Embè? Chi me la leva se pianto ogni cosa? Il cinema non mi piace più. Son passati i tempi in cui mi illudevo che fare del cinema volesse dire fare dell’arte: non sogno più. Il cinema, oggi, è fatto di festival, di cannibalismo, di quell’idiozia che chiamano incomunicabilità. Io del cinema penso quel che scrisse a dodici anni mio figlio sul giornalino del suo collegio in Svizzera: «Al cinematografo mi voglio divertire. Se poi, senza che me ne accorga, mi insegna qualcosa, tanto meglio» [….]

Io i cretini non li sopporto: meglio un mascalzone che un cretino. E non sopporto nemmeno gli intellettuali. Gli intellettuali son così raramente intelligenti. Molto spesso, l’intellettuale è una cosa, l’intelligente un’altra [….]

Tennessee Williams è, sì, un intellettuale, ma è un bambino con una purezza da bambino e una bontà sovrumana: un uomo intelligente prima d’essere un intellettuale. Quando sto con lui, mica parlo di cose intellettuali: parlo di cose normali, dei fatti nostri. Con gli imprenditori invece si parla sempre delle medesime cose: sono dei gran rompiscatole e mai generosi, mai propensi a perdonare, a capire, a imparare dagli altri. Li ho frequentati, li frequento, è vero. Ma questo fa, anzi faceva, parte del mio programma sbagliato di non vivere troppo isolata, di non fare il mostro sacro, di non avere un cattivo carattere. È tutta la vita che mi tormentano con la storia che sono superba, arrogante, villana, sboccata: insomma che ho cattivo carattere.

E a Marlon Brando dissi: “Sei un cafone”

È vero che non ce l’ho. Metti la storia con Marlon Brando. Marlon Brando è buono, bravo, l’unico difetto in lui è che fa troppo il divo, sa di avere quel volto stupendo, magnetico, e non se ne dimentica mai. Io gli sono affezionata da morire, 1o ammiro, ma un giorno che avevo il nervoso viene da me e incomincia a provocarmi. «Io lo so perché sei scura. Io lo so.», «Statte bbono, Marlon. Non sai un fico.» «Io 1o so. Io lo so.» «Statte bbono.» «Io lo so.» «E cosa saiii?!?». «So che vuoi il nome in cartellone prima del mio.» Gesù! Lo volevo, ma non avevo il nervoso per quello e, se non mi avesse provocato, non lo avrei mai ammesso: c’è un tale orgoglio in me. Ma lui melo attaccò, questo orgoglio, e risposi: «Sì, voglio che in Italia il mio nome venga per primo». «Perché?», dice lui. «Perché mi spetta!». «Perché sei ambiziosa », dice lui. «E tu che sei?». Dopodiché me ne vado in camerino. Bene: ebbe il cattivo gusto e l’imprudenza di seguirmi in camerino a continuare la discussione. Scoppiò il mio cattivo carattere, pardon, buon carattere. «Questa cosa», gli dissi, «io non te l’avrei chiesta e avrei aspettato che tu me la offrissi come un mazzo di fiori. Ma siccome non me l’hai offerto come un mazzo di fiori, io ti dico che sei un uomo volgarissimo e un grosso cafone.». Uscì bianco e io ebbi ciò che volevo. Ah, se credono di fare di me un quadro patetico, si sbagliano. Io non sono una donna debole, sono una donna che sa quel che vuole, che lo ha sempre saputo. Niente mi è mai capitato per caso, niente, fuorché il successo di Roma città aperta e la fama di poi. Ero talmente convinta che per sfondare nel cinema ci volesse un bel faccino e occhini azzurri… Insomma, son diventata “la Magnani” per caso: ma ora che lo sono voglio che si dica “la Magnani” ha cattivo carattere[….]

Povera Marilyn. Ricordo il giorno che la conobbi, per non so quale premio. Era giunta con il consueto ritardo, quaranta minuti mi pare o mezz’ora, ed era tutta sconvolta per il timore d’esser mal giudicata. Girava intorno quegli occhi umidi, da cane senza padrone, ma abituato ai calci e alla frusta, e ripeteva con un filino di voce: «I am sorry miss Magnani, I am sorry. La prego, miss Magnani, non sia arrabbiata con me». «Ma non lo sono, miss Monroe.» «Davvero? Oh, davvero?» Era un fiore di creatura: tutta morbida e bianca, senza nemmeno una stecca per tenersi diritta, compatta come un albero giovane, profumata come una gardenia sul ramo: quando seppi che l’avevano ammazzata sembrò anche a me di morire un pochino. Telefonavo a tutti come una folle, piangevo, persi le staffe quando non so quale imbecille mi disse che sì, era una perdita grave del cinema. Che cinema e non cinema, hanno ammazzato una creatura, dicevo, una donna di trentasei anni, e voi mi parlate di cinema. Ammazzata dalla medesima gente che si aggira in questi giorni per il festival, dalle medesime cose di cui si nutrono i festival. Sapeste come lo odio, quel mondo. Per questo non lo frequento. Sono venuta fin qua ma senza arrivar fino al Lido, perché i produttori di Mamma Roma mi hanno pregata, supplicata, convinta. Ma son scesa stamani dal treno, sono andata dritta filata in albergo, mi sono messa a letto e non me ne sono più uscita. Proprio come diceva la povera Marilyn: «Mi creda, miss Magnani, mi creda: in questo ambiente non si trova un amico. Magari una crede di averlo trovato, si sfoga un pochino con lui per sentirsi un po’ meno sola, e il giorno dopo trova tutto quello che ha detto sopra un giornale: e allora si sente più sola che mai, con un gran desiderio addosso di morte. I nemici qui non si vedono, miss Magnani, ma sono tanti, mi creda. Proprio come quelle bestioline… come si chiamano quelle bestioline fatte come le formiche che mangiano tutto, miss Magnani?» «Termiti, miss Monroe.» «Ecco… proprio come le tre… tra… tramiti, miss Magnani. Invece io avrei un tal bisogno d’essere amata, miss Magnani. Lei no, miss Magnani?». «Anch’io, anch’io. Ma un tempo.» Sì, avevo un tal bisogno d’essere amata che facevo di tutto per farmi amare e credo d’essere diventata attrice per questo: per essere amata. Ora però me ne infischio: gli imbecilli son tanti che la pietà per loro mi fa sghignazzare, uccide in me ogni sete d’amore. Questo mondo spietato, volgare, senza pietà, questa mania di commercializzare ogni cosa, ricattare su tutto. Sentite questa: tempo fa leggo un articolo sopra di me, davvero infame, schifoso. Avevano fatto, figuratevi, la lista di tutti i miei uomini: roba da pazzi. Decido di dare querela e il padrone di quel giornale mi scrive: «Vorrei consigliarle di non farlo, carissima, perché in tal modo Ia macchia d’olio si allarga». Non è così che hanno ammazzato Marilyn Monroe? Senza parlare delle rivalità, le bugie. Dio, come faccio a non ribellarmi a certe faccende?

Mio figlio è tutta la mia vita

Chi me lo fa fare di accettare parti sbagliate? La gloria? Ne ho avuta abbastanza, l’ho pagata abbastanza: il mio sogno è andare a vivere con le mucche e le galline in campagna. Se solo Luca, mio figlio, fosse d’accordo… I soldi? Non farei che pagare più tasse. La mania di recitare? Sono pigra: non avete idea di come sto bene senza fare nulla. Insomma, l’unica volta che m’offrirono un film decente fu quando Moravia mi chiese di fare La ciociara. Ma la parte della figlia doveva farla la Loren e via: averla a fianco come figlia è eccessivo, anche se non sono più una neonata, ve pare? Risposi: date la mia parte alla Loren. Se non faccio il teatro è perché il teatro si prende tutta la vita, e la vita per me è mio figlio e mio figlio mi preme più del teatro. Sono stata fin troppo tempo lontano da lui, per allontanarmi ancora. Da diciotto anni io sono l’uomo della famiglia, e se io me ne vado, chi ci pensa a questa famiglia? Quelle signore con il marito (e non glielo invidio. Ih! Un marito! Che peso, che noia) possono dedicarsi anche all’arte. Ma io! Non lo so, non lo so. Ci sono donne che riescono a conciliare le due cose, famiglia e carriera, io non ci riesco. I figli son come i cuccioli: vanno tenuti vicini, curati, se si vuole che si affezionino. Non ho paura di invecchiare, a condizione che non mi invecchi il cervello. Le grinze in faccia, sa, son sopportabili. Soprattutto se si è goduto abbastanza quando non c’erano. Ma le grinze al cervello, che orrore! Paura di morire? Sì, tanta. Ci penso sempre alla morte. È così ingiusto morire, dal momento che si è nati. Morire è finire: perché si deve finire? Un uomo dovrebbe finire quando lo decide, quando è stanco, pago di tutto, non prima. Nascere è quattro strilletti sani e gioiosi, morire è tragedia. Si dovrebbe almeno morire con la stessa dolcezza e innocenza con la quale si nasce. E sapete che vi dico? Che forse sarebbe più giusto nascere vecchi e morire bambini. Gesù, che discorsi… Chissà che ritratto tragico ne viene fuori. Ma io non sono una donna tragica, deprimente. Io sono… oddio, cosa sono?

RANIERI POLESE

Redazione, 16 ottobre 2019

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