GIOVANNI FALCONE (1993). L’OMAGGIO DI GIUSEPPE FERRARA A UN EROE DI GIUSTIZIA

Dopo aver raggiunto la maturità stilistica con Cento giorni a Palermo (1983), uno dei film considerati fondamentali all’interno della cinematografia d’inchiesta e dedicato alla memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia il 3 Settembre 1982, Giuseppe Ferrara prosegue il suo impegno civile nell’ambito della cronaca italiana di quel periodo.

    Il 23 Maggio 1992, a seguito di un vile attentato dinamitardo, perde la vita un altro dei valorosi combattenti in seno alla lotta alla mafia, il giudice Giovanni Falcone. A lui e all’amico e collega Paolo Borsellino, il quale pochi mesi più tardi subirà la medesima sorte, è dedicato Giovanni Falcone (1993), rievocazione cronachistica e aderente ai fatti degli ultimi dieci anni di intensa attività giudiziaria. Un periodo senz’altro controverso e quanto mai difficile nell’ambito di quella che venne rinominata “la zona grigia”, ove tutori della giustizia come Falcone e Borsellino furono chiamati ad esercitare il proprio mandato.

    Con le stragi di Capaci e di via D’Amelio la mafia aveva toccato il culmine della sua escalation criminale, passando a quella fase stragista dalla portata distruttiva nei confronti di un paese e di uno Stato che, tuttavia, non è mai rimasto inerte.

    Nel 1985 c’era già stato il maxi-processo, il più grande e importante procedimento penale della storia italiana, istruito dal cosiddetto pool antimafia a seguito delle inedite dichiarazioni di pentiti come Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, che avevano contribuito ad una più precisa ricostruzione organizzativa di Cosa nostra quale associazione a delinquere di tipo unitario e verticistico, mandando al contempo alla sbarra – con conseguenti pesanti condanne – centinaia fra esponenti e capifamiglia delle cosche siciliane.

    Il successo del maxi-processo, ottenuto con non poca fatica (fino all’ultimo, infatti, la Cassazione terrà tutti con il fiato sospeso e ciò costerà la vita all’onorevole della D.C. Salvo Lima, ucciso il 12 marzo 1992 per non essere riuscito ad invertirne gli esiti), non ha tuttavia fermato il lavoro dei magistrati che hanno continuato nelle loro indagini per dissipare quella fitta nebulosa nei rapporti tra mafia, imprenditoria e potere politico/finanziario, calpestando talora qualche vespaio o fiutando piste che andavano immediatamente abbandonate.

    Il film copre l’arco di tutto un decennio, dagli inizi della seconda guerra di mafia per l’egemonia sul traffico di stupefacenti con gli omicidi dei boss Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, passando – fra gli altri – per i delitti “eccellenti” del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e del magistrato Rocco Chinnici (ucciso 29 luglio 1983), ideatore del concetto di pool e alla cui guida subentrò poi il giudice Antonino Caponnetto.

    L’opera di Ferrara rende altresì omaggio alla memoria del vice questore aggiunto Ninni Cassarà (assassinato il 6 agosto 1985), il quale lavorava a stretto contatto con i magistrati titolari delle inchieste e al fido collaboratore Calogero Zucchetto, agente di polizia tristemente poco rammentato, con il quale Cassarà attraversava le borgate di Palermo in sella ad un motorino per dare la caccia ai ricercati.

    In un crescendo di indagini, colpi di scena e boicottaggi – come quello ai danni dello stesso Falcone per impedirgli la scalata al prestigio presso l’ambiente giudiziario – la narrazione prosegue fino alla tragedia annunciata, quei 1000 chili di tritolo nascosti sotto l’autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci che alle ore 17:58 del 23 maggio 1992 spazzava via le auto su cui viaggiavano il magistrato, la moglie e collega Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Poco meno di due mesi più tardi la mafia si accanirà ancora sui servitori dello Stato. Il 19 Luglio 1992 cadevano nell’attentato di via Mariano D’Amelio a Palermo il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: gli agenti Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Agostino Catalano.

    Malgrado la non eccessiva lunghezza della pellicola (appena due ore di visione), in cui viene sommariamente concentrata la ricostruzione di quanto avvenuto nei dieci anni precedenti – tralasciando forse altri aspetti che avrebbero meritato adeguata trattazione – appare del tutto apprezzabile lo sforzo del regista di narrarne le vicende e porre in risalto le tante perplessità nel frattempo emerse.

    Ottime le interpretazioni di due grandi attori del cinema italiano come Michele Placido, che ricalca perfettamente la gestualità del compianto magistrato, e un intenso Giancarlo Giannini nei panni convincenti di Paolo Borsellino. Anna Bonaiuto ha qui invece il ruolo di Francesca Morvillo.

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