L’ITALIA DEL BOOM

Nuovo benessere, docili trasgressioni, denuncia politica e satira

Il tempo di mettere piede negli anni Sessanta, accelerando il passo di una 600 familiare o rischiando il freno di un’Aurelia sport super-compressa, di infilarsi nell’ingorgo del benessere diffuso e di sentirsi scheggia dell’avvenuta esplosione – parte del boom, insomma –, e il cinema è già lì che racconta, che ci racconta, meglio d’ogni altro: filmando un Paese sorpreso in quella stagione sospesa tra la povertà che è stata e il malessere che sarà. Tra “vita difficile” e “dolce vita”, alla vigilia delle scelte delicate, dei grandi derby sociali anni Sessanta: coerenza-compromesso, impegno-alterazione.

    L’Italia che vive il tempo della sua adolescenza repubblicana, dopo un’infanzia dura passata a costruirsi, ricostruirsi, trova con boom la parola magica. Per descriversi sopra le righe: preda di quella euforia propria degli adolescenti. Che sono spesso velleitari, come il Gassman de Il sorpasso, sorta di on the road “de noartri”, dove il figlio legittimo del boom sa fare sci d’acqua e pure la verticale e vince anche a ping-pong, ma si porta appresso nel ghigno guascone il fallimento e la catastrofe. E a volte, disposti a tutto pur di partecipare alla festa, come il Sordi de Il boom, che si fa convincere a vender un occhio al ricco di turno in modo da sistemate le sue finanze che balbettano. E altre volte, anime divise in due, come quell’altro Sordi, quello di Una vita difficile, che dal derby coerenza-compromesso esce sempre sconfitto: prima onest’uomo lasciato ai margini, poi servile impiegato vilipeso, poi di nuovo orgoglioso di sé ma dal futuro indecifrabile, tutto da inventare. Perché c’è ogni volta qualcuno, nei film di Risi e De Sica, che i soldi li ha davvero e sta lì a ricordare ai figli ingenui del miracolo economico che guidare una decapottabile, come Silvio Mignozzi/Sordi, o un’Aurelia sport, come Bruno/Gassman, è alla fine tutto quello che il boom ti consente, sempre che tu stia al tuo posto. Sono appena cominciati i Sessanta e il post-neorealismo dell’americana di La ciociara (con l’Oscar alla Loren) è un modo per guardarsi indietro, ma la passione civile postbellica è ormai lontana e forse inavvistabile con l’unico occhio che pretende da Giovanni Alberti/Sordi questa nuova Italia de Il boom e dove l’ingorgo del benessere diffuso comincia a provocar male l’autostima: il Marcello de La dolce vita riacquista un po’ di speranza soltanto quando incrocia, in un alba marina, lo sguardo innocente di una ragazza, altrimenti è nausea e insoddisfazione, perché dietro quella via Veneto che luccica flash di paparazzi descrive in realtà l’eclisse di una stagione e pure dell’ottimismo della ragione.

    Sono appena cominciati i Sessanta e sul versante pubblico già gli altri si mangiano l’anima e c’è chi mette Le mani sulla città, dal momento che il miracolo economico, come racconta Francesco Rosi, si porta appresso corruzione ed indignazione. Presto, anche conflitto sociale. Sono appena cominciati i Sessanta e il miglior cinema italiano, a colpi di capolavoro, già intuisce il finale del decennio. Quando boom, tragicamente, riacquisterà il senso di ben altre esplosioni.

CESARE FIUMI

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