L’INQUILINO DEL TERZO PIANO (1976). LA QUOTIDIANITÀ POETICA POLANSKIANA E L’INCUBO

Vessazioni che diventano tortura psicologica, la paranoia che diventa follia, e l’orrore che tutto questo sprigiona, che trasuda dalle cupe mura di un appartamento. Otto anni dopo Rosemary’s BabyUn nastro nero a New York (1968) e ben undici dopo Repulsion (1965), Roman Polanski cala il terzo asso che va a concludere il suo ciclo “dell’appartamento”.

    Il trittico di pellicole che fonde dramma, suspense e l’horror più intimista e che presenta come caratteristica principale quella dell’ambientazione claustrofobica ed opprimente, l’appartamento appunto, foriera di disagi e angosce sempre più crescenti ed insostenibili ai danni del suo inquilino.

    L’inquilino appunto, le locataire Trelkowski (Roman Polanski), mite e timido impiegato di origini polacche naturalizzato francese che cerca e trova alloggio in un condominio parigino. L’appartamento che prende in affitto era stato abitato, fino a poco prima, da una donna morta suicida buttandosi giù dalla finestra, Simone Choule, e che Trelkowski ha fatto in tempo a conoscere al suo capezzale. Ma, una volta preso possesso della nuova dimora, fatti sempre più strani ed inquietanti iniziano ad accadere, sia dentro che fuori le sue mura. Monsieur Zy (Melvyn Douglas), il proprietario del condominio, e tutti gli altri inquilini cominciano a trattarlo sempre più duramente attuando una vera e propria sorta di bullismo, con rimproveri oltre misura ed autentiche pressioni psicologiche. Ma anche al di fuori dello stabile le cose non vanno tanto meglio e pian piano tutta l’esistenza di Trelkowski sembra appiattirsi su quella che era stata di Simone, assumendone i medesimi comportamenti e atteggiamenti, fin quando non finirà per identificarsi totalmente a lei. Ma è tutta una macchinazione o solo il frutto di una mente contorta?

    Dal romanzo di Roland Topor, Le locataire chimérique, Polanski costruisce quello che si può definire il perfetto thriller psicologico di stampo cospirazionistico, laddove tutti i personaggi della storia concorrono a minare l’equilibrio fisico e mentale del protagonista, precipitandolo talora nel baratro della psicosi e della follia più estrema.

    Se in Repulsion la paranoia deriva principalmente dalla frustrazione sessuale della protagonista, mentre in Rosemary’s Baby la storia aveva nelle sue intenzioni un fondo soprannaturale, qui la pressione sociale degli altri inquilini, ambigui e grotteschi quanto basta, viene vista come propulsore verso la dissociazione, la perdita di contatto con la realtà e lo sdoppiamento di personalità. Le vessazioni di cui è vittima Trelkowski trovano terreno fertile nella psiche di un uomo fondamentalmente debole, incapace di scrollarsi di dosso le angherie ed i soprusi.

    Polanski è bravissimo nella caratterizzazione del personaggio che egli stesso interpreta e in cui infonde una parte sicuramente autobiografica del suo vissuto (le origini polacche ma con naturalizzazione francese). Ma è sicuramente alla costruzione della suspense e alla crescente ossessione del protagonista che il film deve tutto il suo valore. A partire da una location azzeccata, un appartamento angusto e poco luminoso, con arredi vetusti e con un bagno in comune sito dalla parte opposta. Trelkowski vi farà prima degli strani ritrovamenti (il dente dentro la parete), aggiungendosi ben presto situazioni sempre più deliranti (come le visioni fuori dalla finestra) e che condurranno ad un epilogo che lascia spazio a diversi interrogativi, tanti quante le possibili spiegazioni.

    Quello che certamente colpisce del film, oltre le già citate peculiarità di cui sopra, è la natura della narrazione, la quale parte linearmente e come fosse quasi una commedia farsesca per poi caricarsi di nuovi significati e debordare in un thriller da manuale, senza lesinare dettagli tipicamente orrorifici, andando verso una conclusione in senso circolare e terminando praticamente come era cominciato. L’assenza dei titoli di coda poi lascia ancora più stranito lo spettatore. La recitazione è di altissimo livello e, oltre allo stesso Polanski, vede la presenza affascinante e un po’ svampita di Isabelle Adjani, quale amica di Simone e con cui Trelkowski intreccia una tenera relazione, e di Shelley Winters nei panni della scontrosa portinaia dello stabile.

    Una delle migliori prove in assoluto di Polanski, un altissimo esempio di Cinema che ancora oggi sa stupire ed inquietare come pochi altri film del suo stesso periodo.

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