POSSESSION (1981). L’AVVIO DEL CAOS SECONDO ANDRZEJ ŻULAWSKI

Elitario, imperscrutabile e criptico per i più, con un piede nel weird più bizzarro e l’altro nell’horror più surreale e visionario, ma non solo. Un film che rifiuta qualunque categorizzazione, che sfugge alle etichette, che abbraccia più generi e diventa trasversale. Possession è considerata l’opera di Andrzej Żulawski più completa, dalle suggestioni “lovercraftiane” e reminiscenze legate alla Metamorfosi (1915) dello scrittore Franz Kafka, oltre a ricordare uno stile visivo già ricorrente nelle opere di David Lynch, David Cronenberg o di Roman Polański stesso.

   Ma forse, più a livello di contenuti, ricorda Shining (1980) di Stanley Kubrick: la follia ed il male che si insinuano nella normalità, lo sgretolamento della forma più elementare di società, fulcro degli affetti, riparo e luogo ideale di protezione: la famiglia.

    Il prologo ci mostra il dramma di una coppia in crisi, l’incomunicabilità tra due persone, la divisione ormai spaziale e affettiva (la scena del bar, con i due protagonisti che discutono seduti in tavoli separati senza neanche guardarsi, rende bene questa idea). Una realtà ormai spaccata, come la Berlino attraversata dal filo spinato che corre lungo il Muro e che Żulawski ci riconsegna nelle fredde istantanee di una città irreale, vuota, dai toni grigi e cupi.

    Lei è Anna, una splendida Isabelle Adjani che da prova di bravura e capacità interpretativa del suo personaggio eccezionali. Respinge il marito, sparisce di casa, esibisce comportamenti sempre più strani ed inquietanti. Ha un amante, lo ammette al marito che non se ne riesce a fare una ragione. Litigano violentemente. Ma lui, Mark (l’attore americano Sam Neill), la ama, non vuole perderla nonostante tutto ed è disposto ad accettare questo triangolo a patto che lei rimanga con lui. Vive accanto al telefono cercando di lei e ogni trillo è un sussulto.

    La prima idea di “possessione” ci viene suggerita da questo sipario: lui si sente come “un animale che la pensa quando non è con lei, un essere posseduto”, e la implora di aiutarlo. Il dolore non è neanche più fisico, Mark si infligge dei tagli sul braccio in senso autolesionistico e la naturalezza con cui lo fa lascia di stucco. Ma lei, la sua ragione e la sua lucidità sono irrimediabilmente compromesse. Lei, con quei bellissimi occhi, quell’espressività così angelica da far rabbrividire per quanto riesca a trasformarsi in un essere sprezzante che guarda dritto l’obiettivo della macchina da presa durante i suoi vaneggiamenti oppure, ancora, durante la lezione di ballo, quando costringe con severità l’allieva a tenere la posizione corretta. Una donna cui la società ha imposto un ruolo, quello di “angelo del focolare” che deve stare al suo posto e tenere le redini della gestione domestica (lo si capisce bene quando rientra a casa dopo giorni e comincia a sistemare in giro).

    Un delirio inarrestabile il suo, desiderosa di rompere gli schemi della sua vita, di dare finalmente libertà alla sua ossessione. E’ una donna combattuta, che porta in sé il contrapposto dualismo tra la fede ed il caos che coabitano la sua mente, perché l’una non può escludere l’altra: il male ed il bene, il doppio, la catastrofe innescata, ineluttabile. La sua controparte positiva, la maestra del figlio (interpretata dalla stessa Adjani), è amorevole e rassicurante e si prende cura del bambino durante le sue assenze.

    Dopo aver cercato invano delle risposte dinanzi un Gesù Crocifisso, Anna fugge via e nei sotterranei della metropolitana, tra fluidi e sangue, la donna “genera” la sua creatura, un essere dalle fattezze mostruose che nasconderà tra le mura di un appartamento abbandonato e fatiscente, intrattenendo con lui un rapporto incestuoso.
In una pellicola nichilista come Possession non c’è però fine all’orrore. La creazione dell’altro doppio, il doppio di Mark di cui la creatura prende le sembianze, da l’avvio ad una reazione a catena, un effetto domino inarrestabile, di sangue e morte, che condurrà al catastrofico epilogo: un’apocalisse presagita dal figlioletto della coppia il quale, con modalità che ci ricordano ancora una volta Shining, avverte i segni dell’incombente pericolo.

    Possession è tutto qui o forse no, forse c’è ancora qualcosa che può essere spiegato, che può svelare le ellissi della narrazione, quei particolari di cui non si riesce bene ad afferrare il senso. Ma probabilmente è proprio così che deve rimanere, inspiegabile ed inaccessibile nella sua interezza.

    Un film disturbante e angosciante, pessimistico ed allucinato, realmente per molti, ma non per tutti. Elitario, per l’appunto.

GALLERIA FOTO

GALLERIA VIDEO