VISIONI FANTAPOLITICHE

In modo meno sotterraneo e più diretto di un altro genere “forte” quale è l’horror, la fantascienza ha sempre prestato un occhio di riguardo alla realtà politica che, a livello internazionale, le interessava. Un esempio abbondantemente utilizzato è l’orwelliano 1984, che gioca con le ipotesi di possibili catastrofi politiche – catastrofi forse prevedibili, sicuramente adattabili alle diverse realtà vissute nei paesi occidentali (che, poi, ad Orwell piacesse giocare con la politica intesa quale strumento atto a dominare le masse emerge anche dal fantastico La fattoria degli animali, perfetto meccanismo per mettere in ridicolo tutti i totalitarismi vicini allo stalinismo sovietico).

    Il cinema s’appropria di tale possibilità critica, oltre che creativa: se si è in disaccordo con la politica corrente, basta camuffare le forme e “spostarla” in qualche epoca più comoda, e magari lontana, per poterla maltrattare a dovere. Il procedimento di paludamento è ovvio e viene usato continuamente in qualsiasi ambito artistico: il cinema da parte sua, ci aggiunge la forza definitoria delle immagini.

    Metropolis (1926) mostra chiaramente questa attenzione verso l’aspetto politico della sua rappresentazione: il lavoro in fabbrica, lo sfruttamento violento delle masse, la crocifissione dell’operaio, l’intelligenza malefica dell’imprenditore, il robot senza cuore che deve comandare sul proletariato inebetito dalla fatica, sono tutti temi carissimi alla maggior parte degli intellettuali dell’epoca: il film altera in modo immaginifico il discorso, tramuta con le necessarie semplificazioni quelle che sono le istanze d’una classe sociale oppressa. Non ci sono grandi discorsi: vive solo la semplice storia di una maestra che, un giorno, scopre un mondo diverso, più bello, più vivibile, a misura d’uomo, un mondo dal quale lei è cacciata via… Non deve meravigliare se fiaba, magia, religione e politica riescono a convivere con tanta amabile franchezza: uno dei meriti di questo genere sta proprio nel creare un’unione gradevole di temi astratti che galleggiano nella nostra mente.

    Il cinema rende più comodi certi nostri percorsi mentali, ne agevola la messa in opera, li rende visibili e reali – magicamente reali. Poi le cose si complicano, lentamente, evolvono e si complicano.

    Da Metropolis (scritto da Fritz Lang in collaborazione con la moglie, Thea Von Harbou) a Il dottor Cyclops trascorrono tredici anni: il film americano, diretto da Ernest Schoedsack, è del ’39: la guerra è alle porte e l’enorme dottor Thorkel – che riduce, grazie a certi suoi esperimenti, alcuni collaboratori a dimensioni minuscole – ben rappresenta e facilmente rimanda ad altro personaggio, preso dalla stessa follia megalomane, quell’Hitler che si apprestava a mettere in ginocchio, di lì a poco, gran parte dell’Europa (tale discorso potrebbe proseguire andando a toccare un film geniale e prezioso quale è Il grande dittatore – anno 1940 – dell’insuperabile Chaplin).

    Poi, dopo la guerra e per tutti gli anni Cinquanta, ecco fare la sua comparsa un altro protagonista all’interno del mondo della fantascienza: sono mostri che vengono da altri mondi, che si confondono facilmente con noi, oppure sono alieni che attraversano il corpo umano, lo fagocitano, se ne impossessano, oppure ancora sono “marziani” che costringono il nostro mondo a scontrarsi con il loro, scatenando micidiali guerre.

    Su tutto ciò domina la paura del comunismo, la paura della potenza sovietica, la difficoltà nel creare un vero baluardo mentale – oltre che fisico – nei confronti della presenza marxista.
Sono gli anni del maccartismo, della caccia alle streghe, della lotta senza quartiere ai comunisti, delle purghe hollywoodiane: bastava un semplice sospetto per essere immediatamente bollati quali sovversivi, per non riuscire più a lavorare.

    E questa paura la si coglie bene, anche se sotterraneamente, in film quali L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel (1956) e La guerra dei mondi di Haskin e Pal (1953). Il mostro e l’invasione spaziale: sono questi i due temi con i quali si confronterà la fantascienza, quella americana ma anche quella prodotta altrove, magari in Giappone, terra fertile per Godzilla (1954), Rodan (1954), Il re dei mostri (1956) ed i numerosissimi epigoni. Domina l’immaginario la presenza inquietante della guerra appena vissuta, l’incubo infernale del fungo atomico.
Si avvertono le prime avvisaglie di quello che sarà uno dei temi portanti degli anni a seguire: la contaminazione, il disastro ambientale, la natura quale elemento privilegiato del discorso politico non soltanto ambientalista. Vengono fuori film quali Blob – Fluido mortale di Irvin Yeaworth Jr. (1958) o Hallucination – L’abisso di Joseph Losey (1961): si sostanzia il timore che le scoperte scientifiche possano provocare disastri irreparabili e scadentissimi risultati per migliorare la qualità della vita dell’uomo.

    Rimane comunque centrale il tema della bomba e Stanley Kubrick dice la sua con Il dottor Stranamore (1963), riprendendo, con toni più leggeri e affascinanti, il tema del folle che vuole distruggere l’URSS a costo di mettere in pericolo l’esistenza dell’intero pianeta. Anche François Truffaut interviene nel discorso e gira Fahrenheit 451 (1966), dipingendo la tristezza d’un pianeta che combatte la lettura. Il libro diviene, magicamente e chiaramente, un oggetto rivoluzionario quanto innocuo, avversato dal potere, che riesce a “leggere” al di là dell’innocenza che il testo, solo apparentemente, mostra. Gli anni Settanta si aprono con Arancia meccanica. La politica è palesata con forza. Kubrick non nasconde: dice le cose come sono, dimostra la violenza di un potere che nel futuro, potrebbe ottusamente governare da qualche parte. Naturalmente è un futuro così vicino che, quasi, ci fa rabbrividire. Per fortuna, Woody Allen clona con maggiore comicità le sue immagini d’un possibile domani, quello de Il dormiglione, anche se continua ad essere un domani nel quale la rivoluzione è pratica necessaria. Gli anni Ottanta tentano di ridefinire i nuovi rapporti di forza: la Russia, grazie all’evidente fase di disgelo, viene “recuperata”: molti film si dedicano a tale ricucitura e molte sono le astronavi o le situazioni che vedono la collaborazione di agenti e militari delle due forze, da Meteor a 2010 – L’anno del contatto.

    L’altro non fa più – non deve fare più – paura. Il diverso (ideologicamente e politicamente) va accettato, fosse anche un marziano con tanto di luce al dito – ma, questa, è una lezione che capiscono al volo soltanto i bambini: E.T. insegna. Certo, permangono perplessità e timori di scontri finali (The Day After è dell’84), ma, sostanzialmente, la nuova fantascienza preferisce le altre analisi politiche.

    Personaggio, autore e regista che spicca su gli altri è certamente John Carpenter: firma regie di film mozzafiato e si muove, all’interno dell’immaginario comune, spazzando via certezze e stati di fatto. Mostra d’essere un rivoluzionario muscoloso e barbuto, un po’ come il suo attore preferito, Kurt Russell: a lui fa interpretare 1997, fuga da New York. È ‘Snake’ Plissken, che deve recuperare il presidente finito per sbaglio nel carcere di massima sicurezza di Manhattan. Se lui muore, si rischia la guerra. Ma l’ex militare pluridecorato Plissken, trattato ora come un temibile ribelle da punire, del presidente se ne frega e, se corre a salvarlo, è solo per salvare se stesso, per espiare, con una discesa negli inferi, i suoi peccati. Per coloro che non avessero capito la lezione, Carpenter ripete e, nell’88, esce Essi vivono. Dice, immaginando un futuro che dista da noi pochi mesi, forse settimane o giorni: attenti al mondo delle immagini, attenti ai manipolatori occulti, attenti alla televisione, ai tipi in giacca e cravatta, alle donne ben pettinate e perfettamente truccate.

    Alla fine viene quasi da pensare che non stia facendo fantascienza, solo un po’ di sociologismo chiaro e lampante, giusto per far riflettere chiunque voglia vedere.

EMANUELA MARTINI

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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