VISIONI POLACCHE. LA FANTASCIENZA DELL’EST EUROPA DEGLI ANNI ’60

Tra i tanti omaggi da tributare al cinema di fantascienza europeo va rievocato Stanislaw Lem, uno dei più prolifici ed efficaci scrittori futuristi. La sua opera prima è Sojux 111 terrore su Venere (1960), diretto da Kurt Maetzig, la cui storia è tratta dal suo straordinario romanzo Astronauci, pubblicato da Gallimard nel 1962 nella collezione Il raggio fantastico sotto il titolo Venere di fuoco. L’azione si svolge intorno al 1970.

    In Siberia viene rinvenuto quello che si ritiene essere un meteorite ma che, in realtà, è un meteorite venusiano  che contiene una registrazione magnetica criptata. Il testo sarebbe funzionale ad un’imminente spedizione sulla “Stella del Mattino”, ma gli sforzi degli scienziati risultano vani ad ogni tentativo di comprensione. Tuttavia, l’astronave è già pronta per la trasferta spaziale su Venere, capitanata dall’astronauta sovietico Prof. Arsenew. In filigrana si legge il messaggio politico-ecumenico attraverso la nazionalità degli altri membri dell’equipaggio reclutati: un ingegnere specializzato in cibernetica, il polacco Prof. Saltyk; il fisico americano Prof. Harringway Hawling; il pilota tedesco (nessun riferimento alle due Germanie) Raimund Brinkmann; Il matematico indù Prof. Sikarna; il filosofo cinese Dott. Chen-Yu; l’ingegnere specializzato in elettronica e navigatore, l’africano Ing. Talua e  l’affascinante medico giapponese Sumiko. L’equipaggio intraprende ricognizioni spaziali ma si imbatte in imprevisti drammatici in uno scenario spettacolare quanto allucinante (merito del design di Anatol Radzinowicz e la fotografia di Joachim Hasler), e Venere, come in una “crisi di rigetto” da luogo ad una serie di forze distruttive esogene mirate agli “intrusi” terrestri. Ne viene fuori un “ammonimento subliminato” rispetto alle divisioni politiche e razziali di stampo tipicamente umano, ed un inno alla coesione tra i popoli. Il film risulta molto scenografico, anche per i decori e i colori.

    Stanislaw Lem dà libero sfogo al suo particolare umorismo in Wycieczka w kosmos (1961) (Viaggio nello spazio) e Bezludna planeta (1962) (Pianeta disabitato), due cartoni animati molto suggestivi estratti da altrettante novelle uscite anche in Italia ed in Francia, oltre che in Polonia e molti Paesi limitrofi.

    Seguono le avventure di Iyon Tichy, adattate dai Libri dei robot: Profesor Zazul (1962) (Il mistero del Professor Zazul) e Przyjaciel (1965) (Amico) diretti dai registi Marek Nowicki e Jerzy Stawicki. Nella prima storia, Tichy incontra il bizzarro de enigmatico professor Zazul, o meglio il suo ectoplasma, perché il corpo del Professore vive materialmente nel liquido fluorescente di un enorme vaso; nella seconda Tichy dovrà lottare contro un cervello elettronico tanto perfido quanto enorme, i cui intenti mirano a soggiogare l’umanità.

    Un’altra importante storia visionaria divenne il film cecoslovacco Ikarie XB 1 (1965) di Jindrich Polák, traduzione del romanzo Obłok Magellana (La nube di Magellano), in cui Lem bissa il viaggio spaziale della Soyux 111 con una molto più imponente che attraversa Alfa Centauri alla vana ricerca di vita, ma che, come Icaro, pagherà un conto salato per il suo bisogno frustrato di porsi obiettivi troppo ardui.

    Il decenni più prolifico per Stanislaw Lem si concluse con una duplice trasposizione cinematografica del suo romanzo più noto: Solaris. Entrambi i film furono prodotti sovietici, Solyaris (1968) prodotto per la TV russa ed il più ben noto Solaris (1972), distribuito capillarmente in tutto il mondo. La prima edizione originale del romanzo è del 1961, ma in Italia lo leggemmo solo nel 1973, versione pubblicata dalla casa editrice Nord di Eva Bolzoni – e ripresa più volte identica da Mondadori dal 1982 a oggi – e quella Sellerio del 2013 di Vera Verdiani. Degno di nota il taglio del testo di circa un quinto nella prima ad opera dell’editore. L’odierna edizione italiana del 2013 presenta finalmente la traduzione integrale dal polacco.

    Ma in fatto di fantascienza, letteratura e cinema i polacchi sono tradizionalmente prolifici: cortometraggi come Labirynt (1963) di Jan Lenica, un piccolo capolavoro di animazione, disegni, ritagli, collage, etc. (vedi La Brèche n. 4, R. Benayoun e Positif n. 53, J.-P. Török) oppure Niebezpieczenstwo (1963) (Pericolo) film con bambole animate di Jerzy Kotowski. Dopo l’annientamento atomico della Terra, la vita ricomincia su un altro pianeta. Ma dà vita a esseri meccanici e cibernetici! Potrebbe essere questa il destino biologico dell’umanità? L’ossessione centrale figlia della guerra fredda, col finale liberatorio: in uno sterile scenario cibernetico, un cuore batte all’interno di un uovo condotto da un’astronave. Forse è il ritorno ad una vita biologica? Decorazioni e bambole sono particolarmente curate, il tutto avvolto in una straordinaria musica elettronica.

    Da includere O dwóch takich, co ukradli ksiezyc (1962) (I ladri della Luna),  diretto da Jan Batory e Wielka, wieksza i najwieksza (1963) (Grande, sempre più grande) di Anna Sokolowska. Il primo, magico adattamento a colori di un romanzo di Kornel Makuszynski in cui due gemelli adolescenti piuttosto inquieti, Jacek e Placek, decidono di rubare la Luna per ricavarne oro. Dopo aver abbandonato il villaggio e superato molte traversie, saranno al cospetto di una splendida città d’oro, con abitanti aurei anche loro, ma senza un agognato pezzo di pane. Chiunque osi rubare le ricchezze della città sarà immediatamente trasformato in una statua d’oro, una sinistra voce metallica sovrasta la città. I due ragazzi  riusciranno comunque a catturare la Luna, ma nella loro borsa, questa si trasformerà in mezzaluna, prima di scomparire completamente, così come ogni ricchezza fatua.

    Il secondo lungometraggio, che negli USA fu distribuito col titolo The Great Big World and Little Children, adattato questa volta da un libro di Jerzy Broszkiewicz, è composto da tre racconti, i primi due più attinenti al genere fantastico, e il terzo di fantascienza:

– Groszek e Ika ascoltano alla radio una dichiarazione sulla scomparsa di un ragazzo. Lo cercano e con tanta generosità e tenacia, a dispetto dell’atteggiamento inverso degli adulti. Riescono nel loro intento grazie all’aiuto di diversi oggetti inanimati con i quali riesco persino a dialogare.
– Gli stessi due bambini apprendono dalla TV che un aereo si è schiantato nel deserto. Ancora una volta, oggetti inanimati – specialmente un vecchio aereo – vengono in loro aiuto e soccorreranno  i passeggeri dell’aereo.
– Groszek e Ika si trovano improvvisamente di fronte ad un fenomeno sorprendente: una magnifica sfera d’argento in riva al mare; curiosi, penetrano all’interno e si ritrovano su un pianeta molto distante dalla Terra, chiamato Vega. Sarà qui che i bambini conosceranno l’aspetto disastroso di un mondo che ha subito una catastrofe atomica, come in un video premonitore. Ancora una volta, i set e i costumi di Boleslaw Kamykowski sono plasticamente impeccabili e dal design accattivamte.

    La Polonia ha dato i natali ad illustri cineasti come Andrzej Wajda, Andrzej Munk, Jerzy Kawalerowicz, Wojciech Jerzy Has; quest’ultimo va contestualizzato in questa dissertazione cinematografica: ad Has si deve, infatti Petla (1958) (Cappio), Posegnania (1958) (Addio), Wspólny pokój (1960) (Sala comune), Rozstanie (1961) (Separazione), Zloto (1962) (Oro), Jak byc kochana (1963) (Come essere amato), tutti film da un unico romanzo di Jan Potocki, Il manoscritto trovato a Saragozza (Adelphi (1965), contenente le prime quattordici giornate; Tea (2006), testo integrale già edito da Guanda (60 giornate); Colonnese (2006), Storia di Zoto, con introduzione di Gianandrea de Antonellis, scritto in francese e uscito oltralpe per Gallimard già nel ’58. Lo stesso anno, il sociologo e critico letterario Roger Caillois commentò su Le Figarò: “La storia, molto varia negli aneddoti, narra gli incontri e gli amori di un viaggiatore, Alphonse van Worden, con due sorelle che lo trascinano nel loro letto, da sole, a volte con la loro madre. Non mancano apparizioni inconsulte, scheletri inquietanti e castighi soprannaturali. Descrizioni molto discrete, come si conveniva scrivere nel XVII secolo, dove i gesti più inquietanti sono velati, ma non dissimulati. Le due sorelle sono musulmane, il che rende possibile mettere in conto gli usi e i costumi degli harem, dov’è del tutto naturale condividere lo stesso uomo. La loro vera natura enigmatica viene rivelata gradualmente fino a sembrare ciò che sono veramente: creature demoniache, succubi e astrologiche legate alla costellazione dei Gemelli.“.

Il film fu girato negli studi di cinematografici di Breslavia e articolato in una doppia struttura: I manoscritti di Saragozza e Il mistero della valle de los hermanos. L’attore polacco più celebre del decennio, Zbigniew Cybulski, veste i panni di Alfonso Van Worden, il protagonista, attorniato dalle bellissime Iga Cembrzynska, Elzbieta Czyzewska, Joanna Jedryka e da Gustaw Holoubek, nel ruolo di don Pedro Vasquez. Wojciech Jerzy Has (1 aprile 1925 – 3 ottobre 2000), fu un abilissimo regista, ed eccelleva nel creare atmosfere barocche e dense di mistero, “approfittando” di tutta la fantastica poesia che riusciva a trarre dal mondo degli oggetti, anche i più semplici. Lui, insieme ai cineasti e letterati polacchi anzidetti, negli anni Sessanta diedero vita ad un movimento polacco che tutt’oggi delinea una fertile ed ingegnosa tradizione di matrice est-europea, con diritto di cittadinanza nella grande letteratura sci/fi e fantasy, così come nel cinema che ne è stato tradotto.

ANTONIO LA TORRE GIORDANO

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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