L’INDIPENDENZA DELLA DONNA NEL CINEMA DI PIETRANGELI

La centralità della donna – non più relegata al ruolo di madre, moglie, sorella o figlia di uomo – è forse il connotato principale che caratterizza il cinema di Antonio Pietrangeli. Egli – in modo assolutamente innovativo – ebbe la capacità di cogliere le enormi potenzialità della donna, rappresentandola, finalmente, come un essere umano indipendente, in grado cioè di saper bastare a se stessa e – laddove necessario – avviare un processo di redenzione.

    Penso sicuramente a Adua e le compagne, film del 1960, che narra di quattro amiche prostitute (Simone Signoret, Sandra Milo, Emmanuelle Riva e Gina Rovere) le quali – all’indomani della Legge Merlin – decidono di mettersi in proprio, aprendo una trattoria fuori porta, “astutamente” munita di alcune camere al piano superiore.

    Il film, inizialmente, si pone come la storia di un inserimento sociale che, tramite un’acuta introspezione dei personaggi, si trasforma nella rappresentazione di un riordino civile e spirituale delle compagne. Ed è fondamentale osservare come questo percorso interiore avvenga del tutto autonomamente: le protagoniste, infatti, sapranno recuperare se stesse e le proprie esistenze, confrontandosi tra loro: questo principio di “conversione”, infatti, non dipenderà dagli uomini che incontrano – sempre pronti a ricordare il loro passato – né dal frate che – pur passando, ogni giorno, a ritirare gli avanzi della trattoria per portarli al vicino convento – si dimostra sostanzialmente incapace di dar loro risposte. Indipendentemente dal finale amaro, ciò che rimane è la constatazione che il percorso di riscatto morale e di reinserimento sociale delle protagoniste sia avvenuto attraverso un confronto sinergico e strutturato tra sole donne.

    Qualche anno più tardi, nel 1963, Pietrangeli ci regala La visita: la quasi quarantenne Pina (Sandra Milo), nubile, vive nella bassa ferrarese, scorrazzando per le strade di campagna con la sua automobile, volutamente délabre. In cerca di una sistemazione sentimentale, Pina pubblica un annuncio matrimoniale al quale risponde Adolfo (François Perier) romano, impiegato in un’anonima libreria della Capitale. L’incontro avviene nella casa di lei, una graziosa villetta che rispecchia, in tutto e per tutto, l’animo della padrona di casa. I protagonisti cominciano a conoscersi e questa dimensione narrativa è magistralmente intervallata da diversi flashback, utili ad inquadrare non solo i reciproci caratteri, ma anche gli ambienti in cui Adolfo e Pina si sono formati. Per lui, una città spersonalizzante, dispersiva, indifferente; per lei, una provincia umana, protettiva, colorata, dove ancora ci si saluta e si scherza per strada.

    Questi contesti, molto ben rappresentati da Pietrangeli, hanno inevitabilmente plasmato i protagonisti: Adolfo risulterà pigro e cinico; Pina, dinamica e curiosa della vita. Ed anche le pregresse esperienze sentimentali sono state vissute dai protagonisti in questi termini. Alla fine Pina deciderà di declinare ogni proposta di Adolfo, prendendo coscienza della propria indipendenza e di saper bastare a se stessa: gli scriverà una lettera in cui, tra l’altro, racconterà ad Adolfo della sua prossima villeggiatura che – senza toni né accenti velatamente tristi – ha deciso di trascorrere da sola.

    Anticipando di qualche anno certi messaggi poi rivendicati dal movimento femminista, Pietrangeli – con grande sensibilità e garbo – ci dimostra come l’indipendenza e la resilienza siano due connotati fondamentali dell’universo femminile.

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