GIULIETTA E FEDERICO: UN GIANO BIFRONTE

Non aveva il fisico della prostituta ed era costantemente alla ricerca di riscatto e conversione. A completamento della Fede e della Speranza, che già possedeva, ella – durante un poetico, forse onirico, incontro notturno sull’Appia Antica, mentre si era persa – scoprirà la Carità: Le notti di Cabiria, film di Fellini del 1957, narra le avventure di una prostituta romana (Giulietta Masina) che vive di illusioni.

    S’illude che un divo dei telefoni bianchi (Amedeo Nazzari) possa realmente interessarsi a lei; s’illude di avere ricevuto la Grazia, dopo un pellegrinaggio al Santuario del Divino Amore; s’illude di essere amata da un uomo che le promette amore eterno. Sarà ingannata su ogni fronte, perdendo tutto, ma non se stessa, perché lo sviluppo drammatico della vicenda sarà, di colpo, spazzato via dal sorriso finale in cinepresa della protagonista che, rompendo ogni finzione scenica, ricorderà allo spettatore che le illusioni sono il sono il sale della vita.

    Anni più tardi, la stessa parabola sarà narrata da Fellini in modo però speculare, con accenti borghesi e chiari riferimenti alla psicoanalisi. Infatti, la dialettica Inconscio, Io e Super-Io, diverrà il tema centrale di Giulietta degli spiriti, film del 1965, sempre con protagonista Giulietta Masina. Nel film Giulietta è una signora della buona borghesia romana, sulla soglia dei quarant’anni, che vive in un villino incantato nella pineta di Fregene. Da sempre ella è circondata da donne diverse da lei, sia fisicamente che spiritualmente: l’elegantissima madre (Caterina Boratto), la bellissima sorella (Sylva Koscina) e l’altrettanto charmant amica del cuore (Valentina Cortese). Tale dimensione, tutto sommato rassicurante, viene messa in discussione quando Giulietta fa la conoscenza di una nuova ed insolita vicina di casa, Fanny (Sandra Milo) – donna sessualmente molto libera e sempre poco vestita – con la quale sorge un’immediata ed insospettabile empatia: Fanny incarna, infatti, tutto quello che Giulietta non ha mai osato essere.

    Questo incontro, ben rappresentato da Fellini – anche da un punto di vista cromatico – determina una sorta di “risveglio” della protagonista che comincia, così, a rielaborare se stessa ed il proprio rapporto coniugale: proprio in quei giorni – forse non a caso – Giulietta scopre di essere tradita dal marito. Benché attorniata da donne, la protagonista non riesce a confrontarsi né a condividere il suo dramma con nessuna: tutte le sue figure femminili di riferimento sono troppo egoriferite, monologiche e poco disposte ad ascoltare. Così Giulietta vive da sola la propria crisi e sarà, progressivamente, assalita da figure oniriche, colorate ed a tratti spaventose: ricorrerà alla psicoanalisi, grazie alla quale riuscirà finalmente a ritrovare se stessa.

    Il film è chiaramente inquadrabile in chiave freudiana, per cui la sensuale e viziosa Fanny è l’incarnazione delle pulsioni inconsce, sessuali, di Giulietta, mentre la madre e la sorella – che spesso le appaiono in una dimensione fantastica e surreale – sono la rappresentazione del suo opprimente e patinato super-io.

    Giulietta degli spiriti, che valse il David di Donatello alla Masina, celebra la prevalenza del mondo borghese, convenzionale e rigoroso di Giulietta su quello anticonvenzionale, libero e poetico di Federico. Così come, anni prima, ne Le notti di Cabiria vi fu la rappresentazione della parabola opposta. Ma in entrambi i casi Giulietta – la donna, la moglie, la marionetta, il fumetto, l’artista – rimane una figura centrale, assurgendo, nella mente di Fellini, a punto di fuga di un’unica magnifica prospettiva.

    Entrambi i film termineranno con una passeggiata – che a me piace pensare senza soluzione di continuità – della protagonista, in solitaria ma cresciuta e confidente.

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