IL GIORNO DELLA CIVETTA (1968) E L’AVVIO DEL CICLO DI DAMIANI

Dalla penna di Leonardo Sciascia alla macchina da presa di Damiano Damiani il quale – sette anni dopo l’uscita editoriale e dopo quattro dalla prima teatrale al Teatro Biondo di Palermo (dati ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema) – adatta per il grande schermo l’opera del celebre scrittore di Racalmuto, prendendosi qualche licenza creativa in fase di sceneggiatura. Il giorno della civetta, un romanzo ed un film nati in un periodo storico -gli anni Sessanta – in cui non si aveva ancora la reale percezione del fenomeno mafioso, non ancora adeguatamente delineato e definito, tanto tra i palazzi del potere quanto presso l’opinione pubblica.

    Ci vorranno infatti anni prima che, dal 1968, si arrivi alle aule bunker del Maxiprocesso, laddove finalmente, nella coscienza civile di uno Stato di diritto, prende finalmente forma il concetto di Cosa nostra, quell’organizzazione che trae forza dal vincolo associativo ed esercita il suo potere con forme di intimidazione e assoggettamento sui suoi membri per scopi delittuosi, come recita lo stesso articolo 416 bis del codice penale. Per girare il suo film, Damiani decide di recarsi proprio in quei territori dominati dalla mafia, tra Palermo e Partinico: paesaggi brulli, arsi dal sole, tra la diffidenza della gente e gli sguardi di coloro i quali, probabilmente, non vedevano la troupe di buon occhio. Nasce così un capolavoro, uno dei più famosi e influenti mafia movie mai realizzati, con un cast d’eccezione e che, assieme a Il padrino di F.F. Coppola e alle varie “Piovre” poi, concorrerà a tratteggiare -sebbene in forma certamente romanzata- i lineamenti etno-antropologici e organizzativi dell’onorata società.

    Salvatore Colasberna, un impresario edile, viene ucciso una mattina a colpi di fucile nei pressi di un casolare isolato della campagna siciliana. L’agguato sembrerebbe di natura mafiosa in quanto la vittima si sarebbe appropriata di un appalto per la costruzione di una nuova strada, destinato, invece, ad una ditta collusa con la cosca locale. Poco dopo, nella stessa mattinata, scompare il marito di Rosa Nicolosi (Claudia Cardinale) che abita proprio nel casolare vicino il luogo del delitto. I Carabinieri indagano e il capitano Bellodi (Franco Nero) è convinto che i due eventi siano collegati e che il Nicolosi sia stato eliminato in quanto testimone scomodo dell’omicidio dell’impresario. Il boss del paese, don Mariano Arena (Lee Cobb), cerca però di depistare le indagini verso il movente passionale, facendo passare il delitto Colasberna come delitto d’onore: questi sarebbe stato infatti l’amante di Rosa Nicolosi e perciò il marito lo avrebbe ucciso dandosi poi alla latitanza. Bellodi però non ne è affatto convinto e cerca di andare a fondo alla vicenda, tentando di carpire i segreti celati dietro ad un muro di omertà. Grazie alla sua tenacia e con abili stratagemmi, unitamente ai fruttuosi tentativi di sgretolare il silenzio con la collaborazione di un informatore, tale “Parrinieddu” e della stessa Rosa, il Capitano riuscirà a mettere le mani su mandante ed esecutore materiale dei due delitti, ma sarà una vittoria effimera ed amara.

    Pur girato con uno stile asciutto ed essenziale, scevro di azioni rocambolesche e scene troppo cruente per un film di questo stampo, Il giorno della civetta (1968) non è solo una pellicola sulla mafia tout-court, ma si configura come un perfetto giallo-poliziesco che segue la consecutio logico-temporale relativa a delitto, indagini e risoluzione finale. Ma c’è di più. Le dinamiche fra i personaggi, soprattutto il testa a testa -invero molto civile e rispettoso- fra don Mariano e il capitano Bellodi, avvicinano la pellicola di Damiani allo stile western. Un western in terra sicula, tra campagne desolate e piazzette di paese, dove la grande casa del boss – nel cui terrazzo alla luce del sole riceve gli altri capi per la spartizione degli appalti – è sita giusto di fronte la caserma dei Carabinieri, potendosi praticamente scrutare a vicenda con un binocolo. Ma, digressioni stilistiche a margine, Il giorno della civetta è soprattutto un film di denuncia e di impegno civile. Un film che parla sì di mafia (e del modus operandi mafioso), ma soprattutto di omertà e di connivenza a tutti i livelli della stratificazione sociale. Un’associazione “inespugnabile” che riceve consenso dal basso (la gente che saluta e si genuflette letteralmente al cospetto del boss) e protezione dall’alto (i legami con la politica e le istituzioni). In questo senso, il film di Damiani è estremamente negativista e pessimistico, che al termine della visione lascia un senso di sgomento dinanzi all’impotenza della giustizia e della legalità contro un sistema corrotto che si autoalimenta in un circolo vizioso senza fine.

    Eccellenti le interpretazioni dei protagonisti, da Franco Nero – magnetico e serioso quanto basta-, alla splendida Claudia Cardinale -ormai al suo apogeo artistico -; da Lee Cobb, il cui personaggio, don Mariano, proferisce una delle più belle battute passate agli annali della cinematografia, ovvero quella sui “quaquaraquà”, al parterre di caratteristi che con i loro volti e la loro mimica rendono irresistibili i propri ruoli, su tutti senza dubbio il messinese Tano Cimarosa, alias Zicchinetta”, qui nell’interpretazione della sua vita.

    Un film coraggioso ed importante, caposaldo imprescindibile del cinema impegnato su tematiche sociali (e non) e che spianerà la strada a tutta una serie di epigoni sul fenomeno “mafia”. Capolavoro oggettivo e sostanziale, sul quale si sospende ogni possibile giudizio di sorta.

GALLERIA FOTO

GALLERIA VIDEO