I NIBELUNGHI (1924). IL POEMA EPICO DI LANG

I Nibelunghi (Die Nibelungen) (1924) di Fritz Lang, importante monumento della settima arte, è tra i primi grandi capolavori del cinema muto del maestro dell’espressionismo tedesco che, ancora prima di Metropolis (1927) e di M – Il mostro di Düsseldorf (1931), grazie al suo stile spiccatamente originale, al suo essere un artista visionario oltre che alla sua bravura tecnica, ha conquistato il mercato cinematografico internazionale, valicando i confini tedeschi ed anche europei, affermandosi come tra le punte d’orgoglio dell’arte e, più in generale, della cultura della Germania della Repubblica di Weimar.

    Più nello specifico si tratta di un film epico suddiviso in due parti ciascuna delle quali è composta da sette canti: I Nibelunghi: La morte di Sigfrido e I Nibelunghi: La vendetta di Crimilde, per la durata complessiva di 285 minuti; oggi è considerato un’opera centrale all’interno della filmografia occidentale non solo perché rappresenta una delle vette artistico-espressive proprie dell’avanguardia espressionista, corrente della quale riesce anche ad incarnare l’ideologia propria del governo sotto il quale venne alla luce, col suo rinnovato slancio verso la supremazia della nazione tedesca al di sopra di tutti gli altri Paesi, ma si tratta di un film che per gli espedienti tecnici e le suggestioni narrative è riuscito a rimanere fortemente vivo nel mondo della postmodernità, inserendosi quale opera d’ispirazione non solo per i film storici ed epici ma per tutto il genere fantasy che grande presa ha avuto nel cinema occidentale a partire, soprattutto, dagli anni Ottanta.

    Tratto da Il libro dei Nibelunghi di Thea von Harbou che ha collaborato con lo stesso Lang per la sceneggiatura, il film si ispira ad un famoso poema medievale risalente al XIII secolo, opera di grande valore oltre che linguistico anche ideologico per tutta la nazione tedesca; due le popolazioni che vengono rappresentate, i Nibelunghi, popolo a cui appartiene Sigfrido, emblema della razza che ariana e gli Unni, i barbari incivili che, però, alla fine avranno il sopravvento ed il dominio della storia medievale legata, per l’appunto, al popolo teutonico.

    Molto improntata sulla monumentalità e la maestosità delle architetture oltre che nel sapiente gioco di luci che contribuiscono a dare forma e peso al valore epico del narrato è la prima parte in cui si staglia l’eroica figura di Sigfrido (Paul Richter), figlio di re Sigmund, che pur di arrivare a conquistare il cuore della donna da lui amata, Crimilde (Margarete Schön), regina dei Burgundi, riesce a superare delle vere prove di iniziazione.

    Singolare la sua impresa che lo porta a sconfiggere un temibile drago, bagnarsi del suo sangue e conquistare il dono dell’invulnerabilità tranne che per una piccola parte del suo corpo coperta accidentalmente da una foglia di tiglio. In seguito, sconfitto l’elfo che lo custodisce, si appropria del tesoro dei Nibelunghi, sposa la bionda regina Crimilde, non senza dimenticare di adempiere la promessa fatta al fratello, re Günther (Theodor Loos), aiutato dallo stesso Sigfrido a battere in duello e sposare la ribelle guerriera Brunilde (Hanna Ralph), regina d’Islanda. Ma il nobile Hagen Tronjie (Hans Adalbert Schlettow), incitata da quest’ultima, uccide a tradimento Sigfrido, colpendolo proprio nell’unico suo punto vulnerabile. Da qui il dolore e la rabbia della giovane sposa che giura di vendicare la morte del suo amato marito.

    Nella seconda parte Crimilde sposa Etzel (Rudolf Klein-Rogge), re degli Unni; dalla loro unione nasce un figlio e lo convince a invitare i Burgundi per festeggiare insieme la festa del Solstizio. Ma scoppiano le ostilità, si dà avvio alla guerra dalla quale i Burgundi ne usciranno sconfitti segnando il definitivo sopravvento dei barbari Unni.

    L’opera particolarmente complessa di Fritz Lang è animata dalla contrapposizione di mondi differenti uno dei quali è quello del popolo tedesco a cui appartengono Sigfrido così come Crimilde, in cui campeggia la maestosità delle architetture caratterizzate da una logica razionale che articola gli spazi scandita da un sapiente uso della luce e delle simmetrie che molto hanno ereditato dal mondo classico. Una tridimensionalità a cui fa da compagno l’ordine di una storia che segue un suo corso pacifico anche grazie al saggio uso del buonsenso e della ragione dei protagonisti. A questo si aggiungano gli effetti visivi sui volti dei protagonisti a tratti come incastonati ed appiattiti in una bidimensionalità propria dei mosaici bizantini. Taluni fotogrammi che ritraggono la regina Crimilde ne sono un valido esempio e testimoniano il ricco lavoro di studio e sperimentazione che Lang è riuscito a mettere in campo in quest’opera.

    Da ciò se ne può facilmente dedurre un narrato cinematografico in cui l’attenta simmetria e perfezione dei corpi la fanno da padrone ma a cui si contrappone in una maniera drastica la spinta dinamica della seconda parte del film. Qui lo spettatore si ritrova improvvisamente catapultato all’interno di una realtà propria dei film western, dei quali Lang sembra anticipare taluni aspetti, i cui protagonisti sono le tende degli Unni sparse lungo la steppa con i cavalli che dominano l’orizzonte delle scene. Qui si assapora un mondo che poi sarà quello che farà grande il cinema di John Ford mentre dalla contrapposizione con la prima parte, molto più statica, sembra aver la meglio la natura rappresentata dagli Unni sotto la quale la civiltà del popolo teutonico ne esce sconfitta.

    È questo il finale di un’opera che farà da premonitrice ai destini tragici e tristi della nazione tedesca uscita sconfitta dalla storia dopo il periodo buio segnato dal nazionalsocialismo di Adolf Hitler e della tragica sconfitta della Seconda guerra mondiale.

    Parlando dei Nibelunghi, pertanto, non si può non ribadire il suo essere un capolavoro immenso del cinema muto che Lang e l’espressionismo hanno lasciato in eredità ai posteri: è eterno così come eterni sono gli occhi della regina Crimilde, ritratti in una maniera quasi ipnotica in taluni frames poiché capaci di vedere al di là dell’orizzonte del tempo e della storia.

    Significative le parole che lo stesso regista ha espresso proprio in merito al suo cinema, valido testamento per noi uomini che ancora apprezziamo quel mondo lontano eppur tanto attuale rappresentato dai primi decenni della settima arte:
“Il primo regalo che il cinema ci ha fatto è stata la riscoperta del volto umano, le cui espressioni tragiche o grottesche, minacciose o felici non ci erano mai state mostrate così vicino. Il secondo regalo che il cinema ci farà saranno le intuizioni visive nel senso più puro delle rappresentazioni espressioniste del processo mentale. Parteciperemo ai moti dell’animo non solo dall’esterno, non ci limiteremo più a vedere soltanto i risultati delle emozioni, ma le condivideremo intimamente fin dal momento della loro comparsa, dal primo bagliore di un pensiero fino alla logica conseguenza finale dell’idea”.

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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