GIOACCHINO VITALE DI STEFANO. L’ATTORE-REGISTA “CORSARO” DI ACIREALE

Attore, regista, produttore, Gioacchino Vitale De Stefano è stato una delle maggiori personalità siciliane del cinema italiano dei primi decenni del ‘900.

    Nel primo e secondo decennio del ‘900 Gioacchino Vitale De Stefano (Acireale, 4 maggio 1886 – Milano 9 febbraio 1959), figlio di Agata De Stefano e di padre ignoto – oggi noto solo agli specialisti della materia – appare come l’unica, eclettica, multiforme e debordante personalità acese del periodo del cinema muto, sia per l’intensa e prestigiosa attività artistica d’attore-regista, che per quella imprenditoriale-organizzativa. Abbandonato il teatro dialettale dove agisce con l’imprimatur di Giovanni Grasso sr. e lasciata presto anche la Sicilia, a Milano lavora come generico per la Saffi-Comerio (nel 1909 la Saffi diverrà Milano Films), quindi promosso in breve prim’attore, ne diviene subito dopo Direttore artistico in sostituzione del dimissionario livornese Mario Morais. Spostatosi momentaneamente in Francia per qualche mese è ingaggiato dalla francese Pathè, ma rientrato in Italia a Catania dà vita alla Trinacria Film (“una fabbrica di negativi”), assumendone la gestione. Il tentativo però fallisce e liquidata la “Trinacria” torna alla “Comerio” quindi – richiestissimo dalle maggiori case di produzione – alla “Pasquali & C”, alla “Itala”, alla “Savoia” e all’ “Ambrosio” dove esordisce (1913) come metteur en scène. Subito dopo la Grande guerra, fonda a Milano (1919) la “Proteus” (poi “Fulgor”) con la quale gira due film e al culmine della carriera (1921) dirige, tra la Spagna e la Sicilia, cinque lavori della “serie corsara”, prodotti dalla “Rosa Film” di Milano, da lui stesso diretti e interpretati.

    In Italia, a Milano e poi Torino, allora capitale del cinema, Vitale De Stefano inizia dunque una strepitosa escalation professionale, prendendo parte dapprincipio solo come attore e successivamente come attore-regista (tra il 1909 e il 1923) ad oltre cinquanta film. Il suo impegno attoriale è rivolto, in particolare nei primi anni, anche a film “letterari”, di qualità, considerati genericamente film “d’arte” (con case che puntano ad una produzione “culturale”), ma con la duttilità e versatilità della sua recitazione copre tutto quel composito ventaglio dei generi (sentimentali, melò, drammatici, avventurosi, storici, comici, polizieschi…) già presenti nel cinema degli anni ’10, dove l’Acese inscena interpretazioni spesso accolte dalla critica in termini assai lusinghieri. Un percorso articolato attraverso il quale è altresì possibile ricostruire tutte le tipiche tematiche della produzione del tempo, fatte di donne oneste sedotte o stuprate e abbandonate, femmes fatales mangiatrici di uomini, adulteri, bimbi orfani o maltrattati, drammi familiari, donne traviate o viceversa angelicate, celebrazioni e ricostruzioni storiche, miti e leggende, kolossal. Film nei quali le vicende si muovono nel rigoroso rispetto delle differenze di classe e (anche quando sembrano trasgredirla) della morale corrente.

    Il vero e proprio exploit artistico avviene, comunque, nel biennio 1912-13, quando l’Acese debutta anche come metteur en scène. Il film è Agenzia Griffard (1913, soggetto di Arrigo Frusta, fotografia di Giovanni Vitrotti), dove Vitale De Stefano indossa i panni del protagonista Griffard, un ladro gentiluomo, così come farà nel sequel Gli artigli di Griffard (1913). Un giudizio critico del tempo (v. “Il Maggese Cinematografico”, giugno 1913) ne rivela la maturità recitativa, fredda, lontana dalle esagitate movenze tipiche del muto, anticipatrice d’una scuola “antigestuale”, sobria e cerebrale, che si affermerà definitivamente soltanto più tardi con l’introduzione del sonoro. Appare (solo per ricordare i più noti) nel celeberrimo e ambizioso Satana (1912) di Luigi Maggi; nel mitologico Siegfried (1912) di Mario Caserini; ne I promessi sposi (1913) del romano Ubaldo Maria Del Colle ed Ernesto M. Pasquali; ne Gli ultimi giorni di Pompei (1913) di Eleuterio Ridolfi, quest’ultimo impostosi nel mondo intero ed osannato come vero e proprio eponimo dei film storici, in cui veste il personaggio di Claudio. Nel Parsifal (1912) di Mario Caserini indossa i panni del protagonista, recitando accanto Mario Bonnard, Mary Clèo Tarlarini, Maria Gasparini, Antonio Grisanti, Dario Sivestri, Oreste Grandi, Filippo Costamagna.

    Lanciatissimo nel mondo del cinema, diretto dall’ingegnoso artista-imprenditore Giovanni Pastrone (che firma con lo pseudonimo di Piero Fosco), ricopre uno dei ruoli primari, quello di “Massinissa”, nel kolossal Cabiria (1914), ricavato da Cartagine in fiamme di Salgari, culmine della megalomane magniloquenza del cinema muto italiano, ovunque osannato, colmo di miti e fasti imperiali, nella finzione cinematografica girato tra Catania, Siracusa e Cartagine sullo sfondo delle guerre puniche e per il quale il “vate” Gabriele D’Annunzio scrive le dotte e ampollose didascalie, incassando un compenso stratosferico.

    Infaticabile, dirige e si autodirige nel “patetico e delicato” La piccola mamma (1914, nel ruolo di Giovanni). Torna alla regia-recitazione con il “letterario” Paolina (1915), tratto dal romanzo di Alexander Dumas, incappato nei rigori della sessuofobica censura giolittiana. Poco prima d’essere chiamato sotto le armi, sempre nel 1916 riesce a dirigere ed interpretare altri tre film: Amor che tace, Colpa o mistero? e Il dramma dell’ambizione. Per tre anni fuori dalla scena perché chiamato ad assolvere il servizio militare bellico, nel 1920 riappare come metteur en scène di altri due lavori ed altresì produttore di se stesso. Creata a Milano la casa cinematografica “Proteus-film” (poi “Fulgor”, con sede in via Moscova n. 36), della quale è unico proprietario, appronta per primo Il principe mascherato, quindi La danza dei gioielli. Il 28 novembre di quello stesso 1920, a Milano, viene fondata la “Lega Miglioramento Personale Cinematografico” (L.M.P.C.), uno dei primi nuclei delle associazioni di categoria dei lavoratori dello spettacolo (direttori, attori, operatori, regisseurs, ma anche scrittori) della quale, ad ulteriore dimostrazione di indubbie capacità non soltanto artistiche ma altresì imprenditoriali ed organizzative, diventa Presidente. Le regie più note, sulle quali tuttavia i giudizi critici del tempo non sono esaltanti, restano comunque quelle della cosiddetta “serie corsara”, cinque film, tutti del 1921 e tutti di grande successo popolare, prodotti dalla “Rosa Film” di Milano e tratti dagli omonimi romanzi di Salgari: Il corsaro nero, Il figlio del corsaro rosso, Jolanda, la figlia del corsaro nero, La regina dei Caraibi, Gli ultimi filibustieri, girati tra la Sicilia e la Spagna e – secondo testimonianze orali – anche nel territorio e nel mare della sua Acireale (S. Maria La Scala).

    Ma già – colpita dalla perniciosa crisi del cinema nazionale, colto da paralisi espressiva e produttiva – la non lunghissima carriera artistica dell’Acese, fatalmente volge alla fine. Nel 1923 ricopre ancora un ruolo nel film La leggenda delle Dolomiti del bolognese Guglielmo Zorzi. La sua intensissima attività praticamente si conclude qui, ad appena 37 anni. Ripescato quasi vent’anni dopo, riapparirà anonimamente in un modesto film sonoro, La pantera nera (1942) di Domenico Gambino (nei panni di Jean), una sorta di giallo tipico del periodo. Su di lui i rutilanti riflettori del set, a questo punto, si spengono definitivamente. Morirà nel 1959, del tutto dimenticato, nella stessa Milano dei suoi ormai polverosi successi cinematografici.

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