CINECITTÀ ALLE FALDE DELL’ETNA: LA HOLLYWOOD SUL SIMETO
Questa è la storia di Frank Capra, regista italo-americano, massimo “autore” del cinema statunitense e contraddizione permanente delle regole dello studio system. Uno dei grandi di Hollywood, Capra nasce in Sicilia negli ultimi anni del secolo scorso. Suo padre, Carmine Salvatore, fa il contadino, ma si diletta di musica e suona il flauto; la madre, Saridda, è la tipica donna siciliana.
Se siete dei grandi sostenitori della tradizione del Giallo italiano ma intendete ora volgere il vostro sguardo verso qualcosa di più moderno, che sappia coniugare livide atmosfere simil-polanskiane al noir più cupo e intimista, con tocchi di drammaticità esistenziale ed esplosioni di violenza fisica e psicologica, questo potrebbe essere il titolo perfetto.
A Treviso c’è un paesaggio umano fatto apposta per incuriosire Pietro Germi, un regista arrivato al successo internazionale raccontando in due film, Divorzio all’italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1963), la Sicilia, cioè un’Italia opposta a questa, in tutti i sensi.
Dalla penna di Leonardo Sciascia alla macchina da presa di Damiano Damiani il quale – sette anni dopo l’uscita editoriale e dopo quattro dalla prima teatrale al Teatro Biondo di Palermo (dati ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema) – adatta per il grande schermo l’opera del celebre scrittore di Racalmuto, prendendosi qualche licenza creativa in fase di sceneggiatura. Il giorno della civetta, un romanzo ed un film nati in un periodo storico -gli anni Sessanta – in cui non si aveva ancora la reale percezione del fenomeno mafioso, non ancora adeguatamente delineato e definito, tanto tra i palazzi del potere quanto presso l’opinione pubblica.
Sciascia nasce l’8 gennaio 1921, io vent’anni prima. Nonostante in gap generazionale, ho subito provato una forte empatia il giorno in cui lo intervistai. Non faccio fatica a rievocare la piacevolezza e l’emozione vissute durante quella chiacchierata che mi vide confrontarmi con uno dei letterati siciliani più illustri di ogni tempo, dalla cui creatività tanto cinema ne è sgorgato, e gli anni trascorsi non ne riducono l’intensità e la vividezza del ricordo.
Marco Vicario “rilegge” Vitaliano Brancati in quello che è stato il suo ultimo romanzo, Paolo il caldo, per Bompiani Ed. nel 1955. Purtroppo incompleto degli ultimi due capitoli ma del quale lo scrittore siciliano aveva comunque autorizzato la pubblicazione postuma. Come già fu per Don Giovanni in Sicilia e Il bell’Antonio – entrambi già trasposti per il cinema relativamente da Alberto Lattuada nel 1967 e da Mauro Bolognini nel 1960 – anche in Paolo il caldo viene trattato il tema della sessualità come elemento cardine attorno a cui ruotano le esistenze dei protagonisti.
Francesco Alliata di Villafranca, nobile produttore cinematografico e regista palermitano, si racconta nella sua ultima intervista, concessa allo storico del cinema Antonio La Torre Giordano, con a fianco la figlia Vittoria Alliata di Villafranca a Villa Valguarnera, Bagheria.
Ermanno Olmi firma con I fidanzati la sua terza regia cinematografica di un lungometraggio a soggetto, realizzando un’opera che conferma l’intensità espressiva e il rigore stilistico tipici di quest’autore, sin dagli esordi.
Nel filone del “giallo d’arte” (ne ha scritti più di cento), che gli ha procurato l’epiteto di “Simenon italiano” dopo aver creato la figura del commissario Federico Sartori, s’innesta l’eclettica figura dello scrittore-poeta-drammaturgo-giornalista di Franco Enna, al secolo Franco Cannarozzo (Enna 1921 – allora denominata Castrogiovanni – Lugano 1990).