FRANCESCO ALLIATA, IL PRINCIPE SI RACCONTA

Francesco Alliata di Villafranca, nobile produttore cinematografico e regista palermitano, si racconta nella sua ultima intervista, concessa allo storico del cinema Antonio La Torre Giordano, con a fianco la figlia Vittoria Alliata di Villafranca a Villa Valguarnera, Bagheria.

In rassegne, festival, TV o altro, rivede mai i suoi film?

    Devo essere sincero, materialmente non li rivedo da diversi anni ormai, ma confesso che li ho tutti ben impressi nella mia mente; mi capita con una certa frequenza di pensare a quei periodi, a quei set, alle persone con le quali interagivo. Sono esperienze che hanno segnato la mia esistenza e ne sono gratificato.

Ha mai avuto l’istinto di conservare i suoi film, nei vari supporti possibili per paura che svaniscano nel tempo?

    In realtà molti li conservo già, inclusi i documentari. Ovviamente vengo coadiuvato da mia figlia ed altri collaboratori (Vittoria Alliata di Villafranca annuisce sorridendo). Non credo sia una paura immotivata, ma credo che i miei film rappresentino una parte della storia siciliana, documentata attraverso il “girato”, per cui, l’aggressione alla celluloide del tempo e del degrado invaliderebbe in qualche misura la narrazione di quel periodo storico. E sono convinto che questo riguardi tutta la conservazione del cinema.

A quale età comincia il suo rapporto professionale col cinema e come mai?

    Sono stato affascinato sin da adolescente dalle immagini, dalle fotografie e dalle sequenze cinematografiche. La mia più grande ambizione era quella di immortalare gli scenari sottomarini, perché, com’è noto, il mare è il mio “elemento naturale”. Non fu affatto semplice riuscirci, soprattutto con la cinepresa. Rimase a lungo solo un’impresa utopistica, ma dopo il raggiungimento del mio scopo, volli realizzare quanti più documentari possibile, anche avulsi al mare. Da lì abbracciai la cinepresa e mi introdussi nell’ambiente cinematografico che mi sedusse per le sue caratteristiche del tempo.

Quali erano, in quei tempi, i contesti cinematografici a Palermo ed in Sicilia?

    Palermo ospitò molti set cinematografici prima che io cominciassi, e sono tante le produzioni che si sono susseguite da Raffaello Lucarelli in poi. Per certi versi, a Palermo ed in Sicilia, i primi quarant’anni del Novecento furono ricchi di fermento e dinamismo, ma a ciò si sommava un quadro economico non proprio florido, quindi le case cinematografiche non brillavano in continuità.

Quale film da lei prodotto ama di più?

    Non ho un sentimento esclusivo per un mio film che prevale sugli altri. Ho dei ricordi in mente che producono tutt’oggi delle emozioni. La carrozza d’oro (1952) è quello che mi viene in mente di getto. Fu una produzione molto impegnativa e faticosa, ma accrescitiva sul piano esperenziale per un giovane produttore come me ai tempi. Il rapporto con Jean Renoir fu edificante, accrescitivo. Cacciatori sottomarini (1947), invece, fu il mio primo documentario e ha un rilievo affettivo importante, così come per Giovanni Mazza, palombaro eccezionale, il cui apporto fu fondamentale.

Lei è molto noto perché uno dei pionieri del cinema in Sicilia. Quale il segreto di tanta forza di volontà ed impegno?

    Coltivare le passioni ci salva, ci cura e ci immunizza. Questo è anche il consiglio che sento di dare a chi oggi desidera cimentarsi nell’ambiente del cinema, anche se le logiche e le dinamiche odierne sono molto diverse, e per nulla migliori. Ma questa regola rimane sempiterna.

Esistevano rapporti personali tra lei e altri sceneggiatori, registi o addetti ai lavori?

    Talvolta, sì! Ma non era una regola. Tra i miei interessi non c’era solo il cinema, e questo fungeva da argine a quel mondo, che ho comunque voluto vivere con gratificazione.

Quali erano gli obiettivi della Panaria Film, o meglio, in un panorama molto composito di case di produzione, che tipo di profilo voleva darsi?

    In realtà, l’obiettivo che ho sempre perseguito è sempre stato quello di produrre buoni film, e questo faceva sì che fossi molto accorto in fase di reclutamento della troupe cinematografica al completo. Insieme a mio cugino Quintino di Napoli e agli amici Giovanni Mazza, Pietro Moncada di Paternò, Renzo Avanzo e Fosco Maraini, decidemmo di realizzare una serie di cortometraggi subacquei nelle Isole Eolie, primi nel loro genere in Italia, con attrezzature reperite negli Stati Uniti. Comunque, una costante che ha caratterizzato sempre le mie intenzioni da produttore è sempre stata quella di magnificare la storia e le meraviglie siciliane. Non sempre sono riuscito come avrei voluto.

Quali, invece, i rapporti con la restante nomenclatura del cinema in quel tempo?

    In generale buoni, ma i sentimenti di gelosia ed invidia erano forti e diffusi anche allora, ma io ero molto evitante in simili circostanze. Luchino Visconti – ho voglia di dirlo – fu ambiguo e perfido con me. Di lui ho solo ricordi negativi che riguardano la sfera personale, perché lo considero un regista eccellente. Preferisco non ricordare quei momenti.

Come nasceva l’idea di produrre un film?

    Dalla voglia irrefrenabile di dare sostanza alla passione. Ne parlavo prima. Poi, Roberto Rossellini si interessò molto per la fondazione della Panaria Film. Ci fu un preciso momento in cui mi diede una sorta di diktat amichevole che si rilevò decisivo. Lo apprezzai molto e anche il rapporto divenne fecondo, così come con tutti gli altri componenti del jet set cinematografico, poi sorse la diatriba su Vulcano (1950) e Stromboli – Terra di Dio (1950), sulla quale vorrei glissare… (sorride).

Al culmine della sua carriera, ricevette mai proposte d’oltreoceano?

    Assolutamente, sì! Ci procurammo molta dell’attrezzatura necessaria per le riprese subacquee negli Stati Uniti ed, al contempo, entrammo in sinergia con appassionati americani del settore. Mi proposero più volte di cooperare per la realizzazione di documentari relativi al mondo subacqueo, ma i miei progetti seguivano un percorso diverso, e dovetti rifiutare.

Quale era il genere cinematografico per cui le piaceva produrre di più?

    Indubbiamente i film a soggetto li trovavo creativi e anche economicamente più gratificanti, ma il genere documentaristico lo preferivo. Quando giri un documentario può accadere di tutto. Nulla è programmato da un copione. Non ci sono battute o scalette da rispettare. Puoi filmare anche l’imponderabile, senza poterlo programmare o sperare prima.

Riceveva aiuti finanziari per realizzare le produzioni?

    I finanziamenti provenivano sempre dalle mie risorse, raramente ricevetti aiuti simili, e di entità trascurabili.

Esisteva un rapporto con la stampa locale e con altri enti culturali?

    Le dinamiche più proficue intercorrevano con la stampa nazionale. Io vivevo a Roma, lì concedevo interviste e lì vivevo gran parte della quotidianità. Ero quasi totalmente integrato in quel di Roma.

Avrebbe voluto produrre un film che non è mai riuscito a creare?

    Ce ne sono tanti. Avrei voluto arricchire la mia produzione di documentari sulla Sicilia, toccando in modo trasversale molti ambiti. La condizioni economiche non me l’hanno permesso. Sono comunque progetti molto dispendiosi.

Quando oggi la gente le dimostra affetto personale e grande interesse per i suoi film, lei cosa prova?

    Fierezza! Inutile negare che un ritorno affettivo mi arriva costantemente, dagli addetti ai lavori e non, ma negli anni immediatamente successivi al mio distacco dal cinema, i miei film e la Panaria sembravano svaniti nell’oblio. Solo da qualche tempo se ne riparla con un certo interesse e riconoscenza. Credo dipenda dalle fasi sociali che la collettività attraversa.

Lei ebbe tanti collaboratori. Qualcuno di questi, provenienti dalla sua “scuola”, riuscì mai a diventare professionalmente importante?

    Credo proprio di no. Il rapporto più intenso lo ebbi con i cofondatori della Panaria Film, i cosiddetti “ragazzi della Panaria”, che prima ho elencato. Sono i soli rapporti umani qualitativamente ricchi che ho vissuto in quell’ambito. Ma questo non riguarda l’industria cinematografica intesa in chiave professionale.

Invece lei, ha qualche debito di riconoscenza?

    Credo che in un sistema ideale di vasi comunicanti, il periodo della mia vita legato al cinema sia contrassegnato da un giusto equilibrio tra il “dato” ed il “ricevuto”. In tal senso non coltivo, ne ho memoria, di episodi rivendicativi.

A parte le amicizie e i bei rapporti nati in ambito lavorativo, ha anche avuto dei nemici?

    Quella è una parola altisonante. Ho solo avuto qualche screzio alimentato da chiacchiere mondane e gelosia, in primis con Luchino Visconti, come già detto. Null’altro di rilevante.

I suoi lavori sono stati concepiti e realizzati nell’arco di un decennio. Che opinione s’è fatta sul mondo cinematografico e le sue trasformazioni nel corso degli anni?

    Il cinema è uno strumento sociale e culturale formidabile in perenne metamorfosi perché innestato con gli andamenti sociali e politici. Ma non ha avuto la mia perenne dedizione. Anch’io ho voluto dedicarmi ad interessi altri. Credo che negli ultimi decenni il cinema italiano abbia perso molto smalto e la sua grande tradizione sia in fortissima fase calante, per colpa di un sistema politico che ignora la rilevanza che ha avuto e che potrebbe ancora avere.

Come giudica il mondo del cinema di allora? Quanto di deteriore e quanto di inebriante al suo interno?

    Il cinema è la cartina tornasole della collettività. Se ci fa caso, ad ogni decennio emergono stilemi tipici. Per cui, esiste un equilibrio anche tra l’inebriante e il deteriore al suo interno. Spetta a chi ne fa parte rapportarlo al proprio modello di realtà.

Sente la nostalgia di quell’ambiente, o avverte qualche particolare mancanza?

    Ciò che realmente avverto nostalgicamente è la quasi totale mancanza di metrica valoriale e di principi che oggi impera in ogni ambito, incluso quello artistico e cinematografico.

Le capita di vedere dei film contemporanei, al cinema o in TV? Le piacciono?

    Raramente, con un’esclusiva predilezione per tutto ciò che è relativo al mare o alla Sicilia.

Progetti per il futuro?

    Il completamento della mia biografia, alla quale sto lavorando insieme a mia figlia, qui presente, Vittoria.

In bocca al lupo, Principe.

    Viva il lupo! Grazie di essere venuti!