VINCENT SCHIAVELLI DA BROOKLYN, CON POLIZZI GENEROSA NEL CUORE

Attore caratterista, gastronomo, regista teatrale, da feticcio di Milos Forman tra Qualcuno volò sul nido del cuculo, Amadeus e Man of the Moon, sino al ritorno nella terra natia.

    Nel raccontare di self-made-man siciliani capaci di realizzarsi e “sfondare” Oltreoceano, si finisce spesso con il raccontare dei Frank Capra e Luca Guadagnino della storia del cinema. A volte però accade qualcosa d’insolito, assistiamo infatti a emigrazioni inverse; uomini nati nel Nuovo Continente, ma cresciuti con il mito dell’Isola nel cuore fino a scegliere di trasferircisi. È questo il caso di Vincent Andrew Schiavelli, nativo di Brooklyn, New York, ma vissuto tutta la vita con Polizzi Generosa nel cuore, tanto da scegliere di viverla nel 2003, fino al giorno della sua morte, il giorno di Santo Stefano del 2005. Un fuoco siciliano quello che ardeva dentro di lui, nato nel 1948 da John Schiavelli e Katherine “Caterina” Coco e tirato su dai nonni materni a cui era molto legato. Andrea Coco e Carolina Vilardo infatti – nativi entrambi di Polizzi Generosa – lo hanno praticamente cresciuto tra ricordi dell’Isola e specialità locali. Era un’amore vero quello di Schiavelli per la sua terra d’appartenenza materna, come facilmente desumibile già dal titolo de Once Upon a Time in Polizzi (2005) di Camilla Overbye Roos; una testimonianza toccante degli ultimi anni di vita dell’attore italo-americano, che parlava così della sua infanzia e dei sapori insegnatigli dal nonno: “Sono stato cresciuto dai miei nonni che mi ripetevano sempre quanto fosse bella Polizzi. Sono loro che mi hanno lasciato il grande dono della lingua e della cultura che ho apprezzato molti anni dopo. Quando sono arrivato qui ho riconosciuto immediatamente questo posto e mi sono pazzamente innamorato delle donne siciliane. Mio nonno ha portato nella mia vita un altro tempo e i sapori della cucina siciliana.”

    Per intenderci, Vincent Schiavelli non è esattamente “uno dei tanti” attori hollywoodiani. Dotato di una mimica irripetibile da “faccia triste”, e da una fisicità resa longilinea dalla Sindrome di Marfan di cui era affetto, nel 1997 fu acclamato da Vanity Fair come uno dei caratteristi più interessanti di Hollywood. In trent’anni di carriera infatti – costellati da 98 film e ben 52 serie televisive – ebbe modo di lavorare con alcuni dei cineasti più rilevanti della storia del cinema, come nel caso di Milos Forman ad esempio, che ne plasmò l’effige da caratterista in un sodalizio pluriventennale tra Taking Off (1971), Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), Amadeus (1984), Valmont (1989), Larry Flynt – Oltre lo scandalo (1997), e infine Man of the Moon (1999); di fatto, prendendo parte a tutte le opere più incisive (e premiate) del cineasta ceco.

    Non solo Forman comunque, prese parte a Stop a Greenwich Village (1976) di Paul Mazursky, e a Scusi dov’è il West? (1979) di Robert Aldrich. Nella decade successiva lo si può notare in opere come Night Shift – Turno di notte (1982) di Ron Howard, il cult-adolescenziale Fuori di testa (1982) di Amy Heckerling e in Le avventure di Buckaroo Banzai nella quarta dimensione (1984) di W.D.Richter, recentemente mitizzato dal cinema postmoderno spielberghiano di Ready Player One (2018). Gli anni Novanta lo vedono figurare in piccoli gioielli filmici dell’epoca, come Ghost – Fantasma (1990) di Jerry Zucker, Batman – Il ritorno (1992) di Tim Burton e infine una piccola parte nel secondo capitolo dello 007 di Pierce BrosnanIl domani non muore mai (1997) di Roger Spottiswoode. Negli anni Duemila la svolta con il “ritorno” in Sicilia dove prenderà parte a Gli indesiderabili (2003) di Pasquale Scimeca e a Miracolo a Palermo! (2005) di Beppe Cino; nel mezzo, curerà la regia teatrale de L’invidia di Assuntina (2004) al Teatro Nuovo Montevergini di Palermo. Da citare anche Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese e Oliviero Rising (2007), distribuiti tuttavia post-mortem.

    Accanto a una carriera cinematografico-televisiva di tutto rispetto, Schiavelli ha saputo incanalare il proprio amore per la Sicilia e i suoi sapori, reinventandosi gastronomo letterario. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila infatti, scrisse quattro libri legati al suo retaggio in un misto di aneddoti ironici sull’emigrazione della famiglia e la cucina del nonno: Papa Andrea’s Sicilian Table: Recipes from a Sicilian Chef As Remembered by His Grandson (1996), Bruculinu, America: Remembrances of Sicilian-American Brooklyn, Told in Stories and Recipes (1998), Papa Andrea’s Sicilian Table: Recipes from a Sicilian Chef As Remembered of My Grandfather (2001) e infine Many Beautiful Things: Stories and Recipes from Polizzi Generosa (2002).

    Nelle lettere dei nonni, tra ricette e aneddoti, c’era anche una piccola nota di colore sociolinguistica, che ci fa capire tanto del fenomeno dell’Emigrazione – stavolta, si, nel Nuovo Continente. La chiamavano Bruculinu quella che oggi conosciamo come Brooklyn, raccontataci nel cinema hollywoodiano da John Badham e Spike Lee tra La febbre del sabato sera (1976) e Fa’ la cosa giusta (1989). Bruculinu era quella parte di New York in cui venivano mandati polacchi, irlandesi, russi, tedeschi e soprattutto italiani; una terra di speranza alla ricerca del Sogno Americano, lo stesso di cui Frank Capra si farà poi conservatore e propulsore tra la Grande Depressione e il Secondo Dopoguerra, e di cui rappresenta il simulacro tangibile nella scelta di lasciare Bisacquino nei primi anni del Novecento per inseguirlo e acciuffarlo. Un incrocio di archi narrativi di vita, quelli di Capra e Schiavelli, nella ricerca del proprio posto nel mondo a cavallo di un oceano sulla scia del self-made-man. Partire e tornare nella terra d’appartenenza inseguendone sogni e speranze tra ricordi e lettere, cineprese e palcoscenici. Oggi Schiavelli riposa in pace nel cimitero di Polizzi Generosa, ed è certamente insolito se pensiamo al mondo da cui veniva fatto di red carpet e premiazioni, copertine e film da Oscar; ma lui l’ha sempre detto d’altronde “mi sento più siciliano che americano”, e a volte il “proprio” Sogno Americano sta nelle radici, nel ripetere il viaggio dei propri nonni, o anche in un semplice piatto di carciofi con ripieno di alici e un sedano in cima, proprio come gli seppe insegnare il nonno nell’infanzia.

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