L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO (1970). L’ESORDIO DI ARGENTO NEL GIALLO ITALIANO

“Vai in Italia, hai bisogno di pace, di tranquillità, è il paese della poesia. Non succede mai niente in Italia!”
Hornitus Nevalis, il nome di pura fantasia per una comunissima Gru coronata grigia, è “l’uccello dalle piume di cristallo” che da il titolo al primo, sfolgorante capitolo della trilogia zoologica di Dario Argento, nonché la pellicola del suo debutto in un lungometraggio dietro la macchina da presa.

Un successo enorme, una pietra miliare della cinematografia di genere: con questo film il Maestro lancerà definitivamente il Giallo italiano, pur rifacendosi alle importanti premesse create da Mario Bava (in particolare Sei donne per l’assassino,1964) e traendo ispirazione dal romanzo di Fredric Brown La statua che urla (1949), ma creando uno stile assolutamente personale e che da quel momento in poi sarà il suo marchio di fabbrica, riconoscibile ovunque e da tutti.

Ma la lezione di Bava non è l’unica ad essere stata introiettata, perché gli spunti provengono anche da quel Blow-Up di Michelangelo Antonioni (1966) secondo cui, a volte, vediamo dei dettagli che poi nella nostra memoria non riusciamo più a mettere a fuoco. È il “particolare sfuggente” che Argento utilizzerà ancora e ancora durante la sua lunga carriera artistica. Sam Dalmas (Tony Musante), il protagonista, è uno scrittore italo-americano che si trova momentaneamente in Italia per cercare di recuperare la sua vena creativa, ma è in imminente ripartenza per l’America. Una sera, sulla strada di casa, si ritrova testimone casuale di un tentato omicidio che però non lo convincerà mai del tutto, persuaso di aver visto qualcosa di strano durante la colluttazione, qualcosa che potrebbe essere la chiave per risolvere il mistero ma che tuttavia non gli torna in mente. Sin dall’incipit Argento fa già sfoggio della sua genialità: un uomo e una donna, rispettivamente vestiti di nero e di bianco (e che il nostro cervello automaticamente catalogherà come cattivo vs. buono), lottano in cima alla scalinata di una galleria d’arte e sembrano contendersi un coltello. La donna viene ferita ed il tizio, in perfetta tenuta da serial killer, scappa via. È su questa fondante premessa che si snoderà tutta la vicenda, con una tensione ed un ritmo che incalzerà lo spettatore fino alla risoluzione finale. A Sam viene ritirato il passaporto, ritenuto dalla polizia un testimone troppo importante ai fini delle indagini, mentre il killer continua a seminare vittime per la città: tutte giovani e belle ragazze, e con modalità che vedremo ampiamente riproposte nell’ambito del Giallo italiano. La morbosità e il sadismo spinti a livelli non ancora insostenibili per l’occhio di chi guarda (Argento farà certamente di meglio più avanti da questo punto di vista) ma resi in maniera tecnicamente ineccepibili. Soggettive, inquadrature e movimenti di MdP realizzati con una padronanza che rasenta la perfezione. Una gestualità ed un controllo dei mezzi che per l’esordiente Argento rappresentano il battesimo di fuoco, dando prova della sua innegabile bravura come regista, ma anche come sceneggiatore e produttore (è sua e del padre Salvatore la SEDA Spettacoli, la casa di produzione che realizzerà tutte le sue prime pellicole).

Il cast è eccezionale e la recitazione rende perfettamente giustizia ad una storia che non sarebbe altrimenti risultata con la medesima intensità. Oltre a Musante troviamo, infatti, Enrico Maria Salerno nei panni del commissario Morosini, Mario Adorf nel ruolo del pittore naïf e Suzy Kendall, con quei suoi magnifici occhi azzurri, la fidanzata di Sam, la quale peraltro sfugge due volte alla follia del maniaco. La sequenza del primo tentativo di omicidio realizzata dentro l’appartamento è da cardiopalma, una delle migliori di tutto il film. Interessantissima poi l’analisi dei nastri con le telefonate registrate, con la quale viene scansionata la voce del killer e dalla quale partirà la pista più importante che condurrà a lui. La soluzione finale è ancora una volta debitrice di Mario Bava, tuttavia non affatto deludente, poiché il movente sarà di natura completamente differente e prende le mosse, per la prima volta, dall’intricato trauma psicologico subìto in passato e che riemerge a seguito di un impulso scatenante (in questo caso dalla visione di un dipinto).
Un giallo italiano pieno di talento e di genio, che spianerà la strada a tutta una serie di epigoni che utilizzeranno gli animali nei loro titoli e che cercheranno di rifarsi in maniera più o meno riuscita a questo capolavoro argentiano.

La fotografia di Vittorio Storaro e lo score musicale di Ennio Morricone, unitamente alle azzeccatissime location (stupenda la galleria d’arte dei coniugi Ranieri, totalmente ricreata negli Studi De Paolis a Roma), completano la confezione di questa meravigliosa pellicola che rappresenta un caposaldo imprescindibile per chiunque si professi amante del cinema.

Piccola curiosità: Tony Musante e Dario Argento non sono mai andati d’accordo, avendo avuto parecchi contrasti durante la lavorazione del film. Nonostante ci sia stata la possibilità, l’attore italo-americano ed il regista romano non si sono mai più rivisti, ancor meno riappacificati.

GALLERIA FOTO

GALLERIA VIDEO