PIZZA CONNECTION (1985) E LA NARRAZIONE CORROSA DI DAMIANI

Gestore di una pizzeria a New York, Mario (Michele Placido), un palermitano emigrato che già ha fatto le sue prove secondo i piani della mafia, viene incaricato di rientrare in Sicilia, dove dovrà eliminare un alto magistrato.

   A casa, Mario ritrova i suoi e soprattutto, il fratello Michele (Mark Chase), per il quale nutre, ricambiato, un affetto profondo. Michele è proprio l’opposto di Mario, è un ottimo ed onesto ragazzo, che subito confusamente avverte in che giro si trovi implicato il fratello maggiore, quando questi gli chiede di “lavorare” per lui. Michele viene licenziato sui due piedi dal suo modesto posto nei mercati, solo per essersi permesso qualche lieve accenno fatto alla polizia, avendo assistito da testimone ad una delle consuete esecuzioni di stampo mafioso. Contemporaneamente, un tenero amore nasce fra lui e Cecilia (Simona Cavallari), una quindicenne costretta dalla madre a prostituirsi per mantenere la famiglia. Allo scopo di liberarla da una tale schiavitù. Michele si rivolge a Mario, chiedendogli in prestito i venti milioni di lire che i familiari di Cecilia esigono. Il killer, che già prima si era adoperato per far uscire di prigione Michele (denunciato per il tentato rapimento della ragazza), accetta, ma impone al fratello di lavorare per lui e, con l’accettazione di quest’ultimo, comincia ad addestrarlo con le armi. Michele, tuttavia, fallisce al primo tentativo: dovrebbe far fuori un agente di polizia, uno della scorta del magistrato che è nel mirino della mafia, ma il coraggio gli viene meno e solo il rapido intervento di Mario, che assiste non lontano, provvederà a quanto è stato deciso. Mentre Mario mette a punto il complesso piano di attacco con la collaborazione dei mafiosi locali, il fratello, pur senza fare il nome del killer, mette in allarme la polizia. Ma la mafia ha spie e complici perfino dentro gli Uffici giudiziari: il delitto accade con un autentico massacro, ma il sistema di intercettazione telefonica dei mafiosi ha, comunque, registrato la voce di Michele. Questi intanto rifiuta i venti milioni che il fratello vorrebbe consegnarli e porta via con sé Cecilia, sfidando così su tutta la linea “l’onorata società”. Sarà salvato da Mario che, dopo avergli offerto oltre al denaro anche il pericoloso nastro registrato,registrato ,uccide il suo complice, nonché l’intermediario che, da New York a Palermo, sempre la mafia gli ha posto alle costole e riparte per gli Stati Uniti. Ma la mafia ha tentacoli pazienti e lunghi: proprio nella sua pizzeria e mentre chiama al telefono Michele, Mario viene ucciso a revolverate da due sicari.

    Tra i rigorosi referti di Rosi e le congetture sartriane di Petri, Damiano Damiani ha individuato da anni una sua via personale nel cinema sulla mafia: in parte tributario del “city gangster film” e in parte ispirato direttamente alla cronaca, ma sempre ossequiente alle regole dello spettacolo popolare. In questa chiave anche Pizza Connection colloca un confronto tra fratelli di sapore quasi biblico contro lo sfondo perverso della criminalità multinazionale. Dopo un prologo violento nei sobborghi di New York, il film riporta il killer italiota Michele Placido nel familiare contesto palermitano: l’ordine degli alti gradi di Cosa nostra è di eliminare il solito procuratore scomodo per mezzo di un attentato ad alto livello tecnologico. Ma nel nuovo Caino addestrato alla scuola americana del delitto c’è la morbosa tentazione di attirare nel cerchio del male anche l’Abele della situazione: il fratello mite, Mark Chase, che ha il torto di avere una mira infallibile. Il romanzo cinematografico è arricchito, ma un po’ appesantito da una piccola folla di personaggi, una ragazzina già fatalmente corrotta dall’ambiente, la madre che la prostituisce, il procuratore avvilito da molti dubbi sull’onestà del padre scomparso. Troppa carne al fuoco o troppe ellissi (c’è un’edizione televisiva che vedremo più in là): ma il film ha scene impressionanti (come quella dell’attentato), splendidi comprimari e un protagonista che resta nel ricordo per I’incisiva interpretazione di Placido.

    Pizza Connection, scritto dallo stessoa Damiani con Laura Toscano e Franco Marotta, è un perfetto “film di genere”. Perfetto nel senso che vi si trovano tutti gli ingredienti del cinema popolare inteso e trarre dal tema della mafia il massimo numero di elementi melodrammatici. Nulla sfugge ai nostri sceneggiatori: il confronto tra l’anima nera e l’onesto fratellino biondo, la miseria dei vicoli palermitani in cui regna il vizio, la corruzione della buona società, l’elogio della polizia e dei magistrati integerrimi che vanno incontro alla morte per compiere sino in fondo il loro dovere, l’allusione alle talpe che si annidano nel palazzo di giustizia, la spietatezza dei criminali italo-americani che confidano nell’omertà degli umili e dei potenti, lo stato d’assedio in cui vive Palermo, ecc. Da quell’uomo democratico che è, Damiani continua ovviamente il suo discorso civile, inteso a denunciare i falsi valori su cui prospera la mafia, e va detto che la sua regia è ancora una volta d’ottimo mestiere. Ma il film soffre del vizio antico di combattere la violenza e la sporcizia rappresentandole secondo i dettami di un codice logorato, ove il manierismo trionfa e il tragico sociale sfiora il folclore, pur avendo tanti agganci con la cronaca.

RENATO RIGA

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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