NATALIA GINZBURG, CONVERSAZIONE A PIÙ VOCI

Natalia Ginzburg, nata Levi, nasce a Palermo il 14 luglio 1916 ed è stata una figura di primo piano della letteratura italiana del Novecento. Figlia di Giuseppe Levi, illustre scienziato triestino di origine ebraica, e di Lidia Tanzi, milanese di religione cattolica. Il padre è professore universitario antifascista e insieme ai tre fratelli di lei sarà imprigionato e processato con l’accusa di antifascismo. Svariate delle sue opere vengono tradotte al cinema e in televisione.

  Ti ho sposato per allegria (1967) di Luciano Salce è tratto dall’omonima commedia, con Giorgio Albertazzi, Monica Vitti, Maria Grazia Buccella e Italia Marchesini. Da Teresa, invece, adattata da Michel Arnaud, il regista francese Gérard Vergez ha tratto nel 1970 un film con Suzanne Flon e Anne Doat. Dal romanzo Caro Michele, adattato da Suso Cecchi D’Amico e Tonino Guerra, Mario Monicelli ha tratto nel 1976 un film in cui recitavano Mariangela Melato, Delphine Seyrig e Aurore Clément; lo scrittore Alfonso Gatto vi aveva la parte del padre di Michele. Dal romanzo È stato così nel 1977 è stato tratto un film per la televisione in due puntate, diretto da Tomaso Sherman e interpretato da Stefania Casini, Stefano Satta Flores, Laura Belli e Antonella Lualdi. Valentino, una mini serie TV interpretata da Vanni Corbellini, Giuseppe Pertile, Dina Sassoli nel 1983. A hírdetés (1985), con la regia di Tibor Horváth con Ildikó Bánsági e Enikõ Eszenyi. Recenti sono i film L’intervista (1990) con Laura Ferrari, Alessandro Haber, Giulia Lazzarini e La mère (1995) della francese Caroline Bottaro e Las voces de la noche (2003) di Salvador García Ruiz. La Ginzburg interpretò, inoltre, Maria di Betania ne Il vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini.

  Qui di seguito, due estratti dall’intervista che Mario Sinibaldi le rivolse e che Einaudi pubblicò in È difficile parlare di sé nel 1999, a proposito di Caro Michele e Valentino, trasposti rispettivamente per il piccolo e il grande schermo nel 1976 e nel 1983.

Mario Sinibaldi: Lei ha vinto il premio Viareggio nel ’57, mi sembra

Natalia Ginzburg: Sì

M.S.: Con un breve romanzo dal titolo Valentino. È un racconto di tipo particolare perché nuova è la figura maschile che lei vi delinea. Si ricorda…?

N.G.: Certo

M.S.: Mi colpì molto, perché è curioso… è il primo omosessuale positivo, mi sembra, della letteratura italiana – precedette di poco Bassani, Gli occhiali d’oro

N.G.: Sì

M.S.: Era tipico di un nuovo modo di sentire, riproponeva queste figure maschili inette, un po’ amorfe, che avevano contrassegnato tutta la sua letteratura precedente ma in un modo straordinariamente più ricco, straordinariamente più vivo, mi sembra, no? Si rendeva conto di questa figura maschile che le cresceva dentro?

N.G.: Sì, sì certo. Io avevo in mente una persona fisica, ma che non era affatto omosessuale. E l’omosessualità l’ho scoperta mentre scrivevo il racconto: io sapevo che c’era qualcosa, qualcosa di nascosto, ma non sapevo cos’era. E proprio mi si è sciolto in mano… Ma era omosessuale! E allora è venuto fuori il rapporto con quell’amico che poi si uccide, e tutto il racconto mi si è sciolto tra le mani così…

M.S.: Sciolto, o cresciuto: sciolto sembra un termine negativo, invece… (ride)

N.G.: Ah sì. Ma quando ho iniziato il racconto, io non sapevo, non sapevo come finiva; sapevo che c’era una casa…

M.S.: Non sapeva com’era Valentino, esattamente come il lettore

N.G.: No: sapevo che c’era una casa, pensavo vagamente a Torino (ero a Torino); poi sapevo… sapevo quattro cose: sapevo come era fatto questo Valentino, che si provava i vestiti davanti allo specchio, si provava le giacche a vento, i vestiti sportivi, che giocava col gattino, e che c’era qualcosa di segreto nella sua persona. E poi a un certo punto mi si è… ho avuto come una folgorazione – Ma era omosessuale!…

M.S.: Una rivelazione

N.G.: Sì

M.S.: E sono gli anni di un progressivo avvicinamento alla «autobiografia». Lei ha scritto «A passi di lupo sono arrivata all’autobiografia»: in realtà non fu molto veloce

N.G.: Valentino è un racconto totalmente inventato; però avevo preso due o tre facce della vita reale. Facce fisiche, due o tre. C’era quello: il resto, tutta la ricostruzione del racconto, era tutta inventata.

M.S.: Dieci anni dopo Lessico famigliare lei ha pubblicato Caro Michele, nel ’73. Dieci anni sono tanti. Ora non voglio insinuare l’idea che il successo ostacoli, e che…

N.G.: No, non ostacola affatto

M.S.: Però dieci anni sono tanti da un romanzo all’altro

N.G.: Eh, dopo avevo il problema della prima persona – l’ho già detto

M.S.: Come verrà aggirato?

N.G.: Col teatro o con il cinema…sì, in Caro Michele con le lettere

M.S.: Caro Michele è infatti un romanzo epistolare, non completamente epistolare diciamo, una via di mezzo, perché è un romanzo epistolare raccontato. Una formula un po’… (…) In Caro Michele oltre all’irruzione di questa tecnica epistolare, c’è una particolare presenza della storia, la storia contemporanea; le vicende di quegli anni trascorrono dietro le pagine di Caro Michele in modo tenue, appena afferrabile: Però decisivo: per esempio provocano la morte del giovane protagonista Michele. È un libro degli anni settanta, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Era molto colpita dagli avvenimenti di quegli anni, da questo scorrere della storia?

N.G.: Certo, sì certo. Soprattutto pensavo che i giovani morivano, che i giovani rischiavano la morte. Che affrontavano la morte e rischiavano la morte.

M.S.: Per motivi politici, diciamo. E questo la colpiva.

N.G.: Sì, per motivi politici o pseudo-politici; però erano in pericolo. E poi questo mondo prevalentemente femminile che è in Caro Michele, il mondo di Caro Michele, c’è un uomo solo, che è Michele, che non si vede mai e muore.

Natalia Ginzburg morì a Roma il 7 ottobre 1991

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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