LA CADUTA DELLA CASA USHER (1928) – JEAN EPSTEIN

Nel 1928 in Francia viene prodotto un film chiave che rappresenta il punto d’incrocio tra canoni figurativi espressionistici e modalità tipiche dell’avanguardia, con una spiccata poetica surrealista, pur mantenendo una certa costante narratologica. Si tratta di un’opera sostenutavigorosamente da una completezza e da sfaccettature inedite in Francia fino a questo momento. Ci si riferisce a La caduta della casa Usher, tratto dal racconto omonimo di Edgar Allan Poe e diretto da Jean Epstein.

    Audace sperimentatore d’avanguardia, Epstein definisce il cinema “Il più reale mezzo dell’irreale” e “soprannaturale per essenza”. Egli punta a fare della macchina da presa un occhio dotato di proprietà analitiche sovrumane, senza preconcetti, senza morale; uno strumento di visione capace di cogliere sui volti e nei movimenti dell’uomo, tratti che noi, carichi di simpatie ed abitudini, non sappiamo vedere. L’obiettivo di Epstein è quello di raggiungere, con la macchina da presa, dimensioni sopratemporali, quasi al confine tra la vita e la morte, secondo quella che egli chiama “fotogenia dell’imponderabile”. Ne La caduta della casa Usher c’è il tentativo di cogliere la vita in oggetti inanimati e di scoprirne potenzialità significanti; a tal riguardo, i temi portanti della narrativa di Poe si prestano alla perfezione a questo intento. Il film, oltre che ispirato al racconto omonimo, è denso di riferimenti ad altre storie di Poe, tra cui Il ritratto ovale e La tomba di Ligeia, in una pratica di contaminazione che sarà poi ripresa da Roger Corman negli anni Sessanta.

    Un viaggiatore (Charles Lamy), amico di Roderick Usher, si reca nella cupa dimora di costui e conosce la moglie Madeleine (Marguerite Gance). La donna è affetta da una nevrosi incurabile e per di più è indebolita dalle estenuanti sedute per il ritratto che le sta facendo il marito Roderick (Jean Debucourt). Costui sembra vivere in una dimensione mentale allucinata e pare più attratto dal quadro che dalla sua vera moglie. Quando costei muore, il marito si rifiuta di far sigillare il sepolcro perché è convinto che Madeleine sia ancora viva. La bara infatti si riapre e le candele intorno al feretro cadono provocando un incendio. Madeleine, coperta da un velo bianco, riappare come una figura diafana, quasi fosse un fantasma. Ma quando il velo scivola via, si mostra viva e vegeta. Mentre la dimora degli Usher viene distrutta, Madeleine, Roderick e l’amico fuggono via. Al posto del castello in rovina, appare una fantasmagorica immagine composta da una miriade di punti luminosi.

    Nel finale del racconto di Poe, gli Usher periscono tra le fiamme della casa in disfacimento ma, al di là delle modifiche sulla storia originaria, la trama è poco più che un pretesto per un formidabile esercizio stilistico in cui ricorrono atmosfere care all’espressionismo tedesco, specie per quanto riguarda l’interno della dimora. Tale aspetto si interseca con valenze naturalistiche come il vento e la tempesta; ma ciò che più colpisce è l’innesto di sperimentazioni avanguardistiche come sovraimpressioni insistite e numerose sequenze reiterate o al ralenti. Indimenticabili le sovrimpressioni delle candele che sembrano dipanarsi come pali accesi ai lati della via lungo la quale viene portato il feretro di Madeleine; oppure le allucinazioni di Roderick, davanti ai cui occhi le pareti; il pavimento della casa sembrano scossi da movimenti inconsulti; e ancora pagine di un libro che si sfogliano da sole, pile di libri e una statua che cadono al rallentatore. Tutti gli eventi del film avvengono in una sorta di dimensione ipnotica in cui il tempo sembra scorrere più lentamente e quasi ogni azione e gestualità è lenta e sonnambolica. Come assistente alla regia di Epstein, c’è Luis Buñuel agli esordi. Per la sua già spiccata propensione al surrealismo, egli contribuisce al particolare impiego dei chiaroscuri, alle audaci angolazioni della cinepresa e alle insistite riprese sugli oggetti. L’opera si rivela quindi un insieme di stili, tematiche e sperimentazioni che partoriscono un risultato così suggestivo che il danese Carl Theodor Dreyer vi si ispirerà per Vampyr (1931).

    Grosso modo nello stesso periodo, sull’altra sponda dell’Atlantico, l’avanguardista americano James Sibley Watson realizza un film sperimentale in due bobine, The Fall of the House of Usher (1929), ugualmente ispirato al medesimo racconto di Poe, nel quale fa ricorso a immagini multiple (ottenute mediante dei prismi) e a scenografie gelatinose.

    L’opera di Edgar Allan Poe, una delle più stimolanti per il genere fantastico, avrà nei primi anni sessanta, come già accennato, il suo più valido traspositore in immagini nella figura di Roger Corman.

PINO BRUNI

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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