LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE (1958), IL MONUMENTO DI HITCHCOCK AL CINEMA

Alfred Hitchcock adatta su pellicola il romanzo D’entre les morts (1954), di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, tratteggiando con il suo inconfondibile stile una storia che lega il tipico melodramma che narra di amori perduti al mistero, finanche al thriller più serrato, sebbene a dosi ancora contenute per l’epoca.

    Vertigo, altresì identificato per la distribuzione e i cinéphile italiani come La Donna che visse due volte, si pone infatti come pietra miliare, importante e imprescindibile di tutto un modo di intendere l’intrigo e la suspense, assieme naturalmente a molte altre pellicole del Maestro del brivido (in particolare Psyco, L’altro uomo (riedito come Delitto per delitto), Il delitto perfetto…). Madeleine Elster, che ha l’algido ma bellissimo volto di Kim Novak, è una donna che soffre di strane turbe paranoiche. Durante dei veri e propri momenti di assenza, in cui si dissocia totalmente dalla realtà, si rivede nella figura della sua bisnonna, morta suicida a soli 26 anni, sovrapponendosi ad essa. Il marito Gavin (Tom Helmore), preoccupato che la stessa sorte possa toccare a Madeleine, decide di farla sorvegliare da un suo vecchio amico, detto “Scottie” (James Stewart), poliziotto ormai in pensione e affetto da acrofobia, ossia la paura di cadere nel vuoto. Dopo qualche reticenza questi accetta l’incarico ma, poco dopo aver salvato la donna da un tentativo di suicidio gettandosi nelle acque della baia di San Francisco, comprenderà di essersene innamorato, da lei ricambiato. Lo stato d’animo della donna, però, sembra peggiorare sempre più e, salita fin su di un campanile, si lascia cadere nel vuoto sotto gli occhi impotenti di Scottie il quale, soffrendo di vertigini, non ha potuto raggiungerla per impedire il gesto.
Sopraffatto dai sensi di colpa e distrutto per quell’amore perduto, ritroverà il suo slancio grazie all’incontro con una donna incredibilmente somigliante a Madeleine, Judy, e nella quale vorrebbe far rivivere il fantasma dell’amata.

    Ma non è tutto come sembra. Qui il fil rouge, ossia l’elemento conduttore della storia, è proprio la vertigine, intesa non soltanto come un disturbo dell’equilibrio, ma anche come senso di disorientamento e smarrimento emotivo, tanto del protagonista ma anche della sua controparte femminile (da segnalare anche l’amica di Scottie, Midge, che lo ama segretamente e se ne dispera). La spirale come elemento visivo ricorrente, fin dai bellissimi e ammalianti titoli di testa, è segno distintivo e metafora di una realtà distorta. La storia viaggia infatti costantemente in bilico fra la realtà e la dimensione onirica, che culmina nell’incubo di Scottie in una sequenza ad alto tasso lisergico, peraltro avanguardistica per il periodo.

    La Donna che visse due volte è un melò che procede lento e, che proprio come una spirale si avvita, acquisendo man mano elementi sempre nuovi, addensandosi in un giallo che si infittisce sempre più, caricandosi di nuove connotazioni: la paranoia di Madeleine che poi diventa quella di Scottie non senza una punta di necrofilia appena suggerita (ma esplicitata dal desiderio di vedere Judy pettinata e abbigliata come Madeleine). Il tutto, poi, sconfinerà nell’ambito del thriller più puro, con l’immancabile coup de théâtre a suggellare le affascinanti due ore e passa di visione. In aggiunta agli espedienti visivi impiegati per rendere al massimo il senso di vertigine e ottundimento del protagonista (su tutte la magistrale prospettiva con l’uso dello zoom dall’alto delle scale del campanile), va assolutamente menzionata la splendida fotografia con un utilizzo curatissimo ed elegante del Technicolor (soprattutto del verde e del rosso) e delle ambientazioni, in particolare le strade di San Francisco con i suoi saliscendi e la suggestiva baia con un Golden Gate da cartolina.

   Vertigo si guadagnò due Nomination agli Oscar del 1959 per la migliore scenografia e miglior sonoro; spodestò nel 2012 Quarto potere (1941) di Orson Wells dal trono del miglior film d’ogni tempo che l’autorevole rivista Sight and Sound gli attribuì per conto del British Film Institute nel remoto 1962, consacrando il film a monumento al Cinema e di cui, peraltro, sarà diffusa nelle sale italiane la versione restaurata a partire dal 18 novembre 2019 ad opera della Cineteca di Bologna.

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