LUCHINO VISCONTI ED IL SUO PASSAGGIO DAL NEOREALISMO AL REALISMO STORICO-LETTERARIO

Nel 1951, Luchino Visconti dirige Bellissima, ultimo della sua Trilogia neorealista, dopo Ossessione (1943) e La terra trema (1948). Maddalena Cecconi (Anna Magnani) partecipa ad una selezione cinematografica, candidandovi la figlia Maria, di pochi anni, timida ed impacciata nel parlare.

    Appena entrata a Cinecittà – che da subito le appare labirintica, quasi surreale – Maddalena è investita da un senso di stordimento, anzi confusione, da cui sarà dominata durante l’intera vicenda. Nella mente della protagonista, infatti, la piccola Maria – in realtà un po’ riluttante – dovrà, a tutti i costi, essere scelta dal regista Alessandro Blasetti.

    Per realizzare questo suo sogno, Maddalena andrà sempre di fretta, alternandosi freneticamente tra una sarta, un fotografo, un parrucchiere ed una maestra di recitazione. Ben presto, anche il rapporto col marito si incrina perché, in questa sua caotica iniziativa, Maddalena altera i ruoli familiari, decidendo in modo autonomo e proiettandosi nella figlia, alla quale – così facendo – tenta di regalare un’ esistenza migliore della sua: Maria, infatti, non dovrà dipendere da un uomo ne’ subire umiliazioni o prepotenze.

    L’affermazione lavorativa di Maria diventa, quindi, il modo con cui Maddalena potrà riscattare, anche se stessa, sia umanamente che socialmente. Ed in tale ottica, la protagonista sarà disposta persino a cadere nelle fauci di un intrallazzatore senza scrupoli (Walter Chiari).

    Dopo essersi resa conto che la piccola Maria è stata selezionata, non per le sue doti fisiche, ma perché la sua goffaggine suscitava ilarità nel regista e nel suo staff, Maddalena sarà distrutta: memorabile il suo pianto finale di disperazione, seduta su una panchina all’uscita di Cinecittà, con la piccola tra le braccia. Questa sequenza fu così intensa che la Magnani sussurrerà in lacrime “aiuto…“, battuta non prevista in copione, ma rispettata da Visconti. Alla fine, nonostante le insistenze dello staff di Blasetti, Maddalena -per amore materno, dignità e coerenza morale – rinuncerà al suo progetto: sua figlia, per lei, è e rimarrà bellissima.

    Questo film è centrale nell’opera di Visconti: tramite esso il Regista non solo denuncia certe dinamiche del sottobosco del cinema romano – in questo senso Bellissima è tra i primi esempi di “cinema nel cinema” – ma sopratutto celebra la fine della sua esperienza neorealista.

    Visconti con Bellissima evidenzia come la reale finalità di un film sia quella di regalare allo spettatore un’illusione, un’evasione: in qualche modo lo stesso stordimento provato da Maddalena che, nel tentativo di realizzare questo sogno, vuole in verità evadere dal suo quotidiano, scialbo e ripetitivo. E la mancata realizzazione del desiderio di Maddalena può simbolicamente leggersi come il fallimento progettuale del neorealismo stesso: il cinema non sarà più, come in passato, un’esperienza soltanto etica, ma dovrà divenire, anche e soprattutto, un’esperienza estetica.

    Ed infatti, dopo Bellissima, si assisterà ad un radicale cambiamento nella poetica di Visconti perché con il successivo Senso (1954) egli riparerà , quasi definitivamente, nel realismo storico-letterario.

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