LUCA GUADAGNINO. DA PALERMO L’EROE (CINEMATOGRAFICO) DEI DUE MONDI

Critico cinematografico, cinefilo accanito, interior designer, ma soprattutto regista visionario dallo stile inconfondibile.

    L’occhio sulla cinepresa dietro a Io sono l’amore, A Bigger Splash, Chiamami col tuo nome e Suspiria, è anche un acclamato “regista” di interior design – immediatamente riconoscibile nel suo stile esteticamente brillante, nella cura meticolosa e certosina del momento, Guadagnino parte da Palermo per trovare la consacrazione Oltreoceano in una versione riveduta e aggiornata del mito di Frank Capra.

    Ormai stabilitosi nel Settentrione tra Milano e Crema (lasciata nel 2018 dopo alcuni dissidi), ma il viaggio di Luca Guadagnino parte da Palermo nel 1971, da un’unione multietnica tra il padre agrigentino e la madre algerina; dopo aver vissuto i primi sei anni in Etiopia, la famiglia Guadagnino si stabilì definitivamente nel capoluogo siciliano; ed è qui che il futuro cineasta esplorerà la propria passione per il cinema.

    Come spesso accade per tutti coloro che si lasciano sedurre dal cinema e dal suo magico mondo infatti, anche per Guadagnino il cinema era molto più di un semplice hobby, piuttosto una vocazione, un’evasione dalla realtà di una vita solitaria. È nell’adolescenza infatti, intorno ai quattordici-quindici anni, che Guadagnino conobbe un quasi trentenne Franco Maresco – all’epoca gestore di una videoteca – il quale gli consigliò Boudu salvato dalle acque (1932) di Jean Renoir. Da quell’incontro, da quel semplice consiglio cinefilo, iniziò un’amicizia fatta di dibattiti, di un reciproco spronarsi a cui il regista di Melissa P. (2005) guarda sempre con sincero affetto, tanto da ritenere da sempre il cinefilo come “l’animale umano che mi corrisponde di più.”

    La passione del cinema nell’adolescente Guadagnino, lo porta così ad approfondire, conoscere, esplorare, creandosi un proprio background di visioni e di film preferiti – uno su tutti Velluto blu (1986) di David Lynch – arrivando alla laurea in lettere all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sul regista statunitense Jonathan Demme. Gli anni Novanta diventano cruciali per lo sviluppo del regista palermitano, tra Qui (1997) cortometraggio d’esordio con protagonista Claudio Gioè, e The Protagonists (1999) il suo primo lungometraggio con cui darà il via al sodalizio con Tilda Swinton (poi proseguito con Io sono l’amore, A Bigger Splash e Suspiria) presentato al Festival del cinema di Venezia 1999 – abbastanza per permettere a Guadagnino di entrare a far parte del mondo tanto sognato.

    La prima decade del nuovo millennio, invece, è quella in cui Guadagnino esplora il suo eclettismo registico, dai cortometraggi L’uomo risacca (2000), Au revoir (2001), Part deux (2007) e Chronology (2010), ai videoclip musicali tra cui citiamo il sodalizio artistico con Elisa di cui ha diretto i video di Asile’s World (2000), Luce (2001), Broken (2003) e Swan (2005). Molto attivo anche sul fronte documentaristico, da Tilda Swinton: The Love Factory (2002), a Mundo civilizado (2003) presentato al Locarno Film Festival, sino a Cuoco contadino (2004). La produzione cinematografica non si arresta, e oltre a Io sono l’amore (2009), con cui prosegue il già citato sodalizio con Tilda Swinton e ottiene la sua prima nomination ai BAFTA e ai Golden Globe nel 2011, Guadagnino firma la regia di Melissa P. (2005) tratto dal romanzo 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (2003) di Melissa Panarello – di cui firma, in ambo le pellicole, anche la sceneggiatura. Melissa P. ha un ruolo cruciale nella carriera di Guadagnino, mettendolo per la prima volta dinanzi ai voleri dei produttori delle major hollywoodiane e alle difficoltà di gestione in post-produzione; il film fu un flop di critica, ma il pubblico lo amò particolarmente, tanto da risultare uno degli incassi più importanti di quella stagione cinematografica. Con Melissa P. Guadagnino realizza si, una regia su commissione di un prodotto chiaramente commerciale, ma si lascia incantare dal soggetto, una scabrosa storia di sessualità femminile, realizzando un coming-on-age a metà tra Il macellaio (1998) di Alberto Grimaldi, e il saggio Adolescenza (1990) della pediatra Françoise Dolto.

    Il secondo decennio degli anni Duemila è certamente il più florido, nonché quello della consacrazione artistica, a partire dal Falstaff di Giuseppe Verdi al Teatro Filarmonico di Verona nel 2011, al far parte della giuria del Festival del cinema di Venezia nel 2010 presieduta da Quentin Tarantino sino ai documentari Inconscio italiano (2011) presentato al Locarno Film Festival, e all’ode d’amore a Bernando Bertolucci (cui propose un ruolo in Io sono l’amore) in Bertolucci on Bertolucci (2013), co-diretto con Walter Fasano – con cui inizierà un importante sodalizio artistico.

Ma è la produzione cinematografica il punto forte di questa fase artistica; sono infatti gli anni di A Bigger Splash (2015), presentato al Festival del cinema di Venezia 2016, con ancora Tilda Swinton, Matthias Schoenhearts, Dakota Johnson e Ralph Fiennes, e Chiamami col tuo nome (2017) con Timothée Chamalet, Armie Hammer e Michael Stuhlbarg – con cui, nel 2018, Guadagnino ottiene la sua prima nomination agli Oscar. Lo sviluppo della cosiddetta Trilogia del desiderio inaugurata con Io sono l’amore, proseguita con A Bigger Splash, e conclusasi con il sopracitato Chiamami col tuo nome – rappresenta una delle migliori espressioni della poetica cinematografica del regista palermitano in un dispiegarsi di generi variegato con alla base l’elemento romantico.

    Dai silenzi della campagna pantesca di A Bigger Splash, a quelli della campagna cremasca di Chiamami col tuo nome – teatri estivi di equilibri di pace e serenità fatti di particolari e dettagli, con cui Guadagnino mette in scena la cura dei corpi, del cibo, dello spazio, nella riproduzione di brevi attimi di tempo.

    L’arsura estiva diventa così il teatro del disfacimento e la riscoperta di sé, di pulsioni represse e altre rilasciate, tra ricotta, fichi e pesche, tuffi in piscina e giri in discoteca, nella progressiva disgregazione della vita della coppia Schoenhearts-Swinton in A Bigger Splash con l’arrivo di Fiennes-Johnson “padre e figlia”, all’armonia familiare di Casa Perlman in Chiamami col tuo nome e dello stesso Elio di Chalamet, messi a soqquadro dall’Oliver di Hammer, nello sviluppo di un delicato e irripetibile coming-on-age.

    Il cinema di Guadagnino non è soltanto estetismo delicato, cura dei corpi e della convivialità degne di Luchino Visconti, ma anche il portare un chiaro punto di vista personale in un cinema che è anche reinterpretazione di un immaginario; un qualcosa che se il rimando di A Bigger Splash a La piscina (1967) di Jacqued Deray risulta quasi tra le righe, con Suspiria (2018) – probabilmente, ad oggi, la pellicola più rilevante del cineasta palermitano – salta subito all’occhio, rileggendo l’omonimo film del 1977 di Dario Argento in una chiave meno brutale e più esoterico-psicologica a livello orrorifico (e cromatico), ma più incanalato nel contesto e nell’epoca storica del soggetto in esame, ovvero l’Autunno Tedesco del 1977.  Suspiria – con protagoniste Tilda Swinton, Dakota Johnson e Chloe Grace Moretz – ripropone il topos narrativo Guadagniniano del personaggio che entra in scena scombussolando, o in questo caso lasciandosi coinvolgere, dagli equilibri in itinere, inserendosi così, anche per via della propria natura narrativa, come un unicum nella carriera del cineasta nativo di Palermo.

    Con ancora progetti in via di sviluppo, come la miniserie HBO We are who we are (2020), Blood on the Tracks (2021) basato sull’omonimo album di Bob Dylan, e il sequel di Chiamami col tuo nome previsto verosimilmente per il 2023, ci sarà ancora molto di cui poter parlare a proposito di Guadagnino nelle prossime decadi; quel che abbiamo, attualmente, è una figura autoriale d’indubbio valore artistico, poco considerato dall’Industria italiana di riferimento, ma capace di costruirsi una solida reputazione all’estero, come un novello Frank Capra che dalla Sicilia, negli anni Trenta, riuscì a conquistare Hollywood perpetuando un cinema positivo nel mito del self-made-man.

    Oggi c’è Guadagnino, che guarda al domani attraverso un linguaggio cinematografico moderno in continua evoluzione, e per cui i “propri” film sono quelli mai realizzati (o lasciati su carta), il resto va ai cinefili, ai posteri.

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