L’ITALIA DEL NEOREALISMO

Il 9 ottobre 1945, prima proiezione pubblica di Roma città aperta di Roberto Rossellini, è la data con cui si fa iniziare la rinascita del cinema italiano. Il Paese è uscito da poco dalla guerra, nel giro di qualche anno voterà per la Repubblica (2 giugno 1946), si darà una Costituzione (I° gennaio 1948) e manderà al governo, insieme ad alcuni partiti minori, la Democrazia cristiana (18 aprile 1948), che, seppur con varie formule, manterrà il potere esecutivo fino agli anni Novanta.

    Comincia la ricostruzione grazie agli aiuti americani (Piano Marshall, 3 aprile 1948), ci sono grandi fermenti sociali (occupazione delle terre al Sud, scioperi nelle fabbriche del Nord), in seguito all’attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti l’Italia si trova sull’orlo della guerra civile, nel ’49 la sinistra italiana scende in piazza per protestare contro l’adesione al Patto Atlantico. Sempre nel ’49, il Parlamento approva la legge 958 sul cinema: è opera del sottosegretario Giulio Andreotti, e istituisce contributi statali per le pellicole nazionali, ma prevede un visto ministeriale per l’uscita dei film nelle sale. In questo breve giro di anni si consuma l’esperienza del neorealismo che. Iniziato col capolavoro di Rossellini, include opere di Vittorio De Sica (Sciuscià, Ladri di biciclette), Luchino Visconti (La terra trema), Giuseppe De Santis (Riso amaro), Aldo Vergano (Il sole sorge ancora), Carlo Lizzani (Achtung! Banditi!), oltre, naturalmente, a Paisà e Germania anno zero di Rossellini, e molti altri… La rivoluzione neorealista porta il cinema per le strade, usa attori non professionisti, è legata al ricordo della Resistenza e mostra un impegno politico e sociale vicino al Pci. Questo non consentirà vita facile ai suoi registi, sgraditi al sottosegretario Andreotti (il quale, nel ’52, dopo l’uscita di Umberto D, in una lettera aperta a De Sica condanna il cinema dei “panni sporchi”). Ma dopo le prime buone accoglienze, anche gli spettatori volano le spalle ai film neorealisti: a scorrere i maggiori incassi nel dopoguerra troviamo Macario, Totò, Matarazzo, Don Camillo.

    Con gli anni Cinquanta, mentre Totò continua le sue fortune al botteghino, si affermano altre forme di cinema di successo: torna il film-opera (Carmine Gallone), trionfa il melodramma nazional-popolare di Raffaello Matarazzo (Catene), con Pane, amore e fantasia, 1953, di Luigi Comencini nasce la commedia all’italiana. Il nuovo genere – all’inizio si parlò di “neorealismo-rosa”, ed era caratterizzato da un’ambientazione povera, rurale – si sviluppa prestissimo come un ritratto dell’italiano che, dimenticata la guerra, si affida alla tradizionale arte di arrangiarsi.

    Anche se alcune grandi case di produzione chiudono, e il contributo ministeriale è in pratica anche una forma di censura, il cinema in Italia vive anni facili. La TV, appena nata (1954) non fa concorrenza. Gli incassi delle sale sono alti. Anche il ricambio fra generazioni avviene felicemente: Federico Fellini vince due Oscar con La strada e Le notti di Cabiria. Poi, con il ’60, ci sarà l’esplosione con Michelangelo Antonioni, L’avventura, Visconti, Rocco e i suoi fratelli e, naturalmente, Fellini con La dolce vita.

RANIERO POLESI

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