LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI (1962) DI NANNY LOY

Napoli eletta a paradigma dell’Italia, anzi dell’Europa è quanto emerge da Le quattro giornate di Napoli, film del 1962, diretto da Nanni Loy e candidato all’Oscar. Dopo la proclamazione dell’armistizio del 8 settembre 1943, i napoletani festeggiano la pace ritrovata, ma l’invasore nazista, con feroci atti di rappresaglia, ricorda loro che la guerra non era affatto finita e che tutto, invece, cominciava con un’ aura più drammatica e disumana.

I napoletani, con un moto civile trasversale, si mobilitano per quattro giorni, compiendo il primo atto di Resistenza della Storia d’Italia. Alla fine essi cacceranno i tedeschi, consentendo agli americani di fare il loro ingresso in una Napoli già liberata.

Anche i ragazzi – giovani detenuti nell’istituto penitenziario da cui erano in quel momento evasi – sentiranno il dovere morale di contribuire per riscattarsi socialmente, convincendo lo stesso direttore penitenziario a partecipare all’insurrezione, dopo avergli fatto notare che in quel contesto i ruoli e le prerogative di tutti venivano necessariamente livellati dalla Storia. Il direttore, grazie a questi giovani scugnizzi, dismetterà la sua “mutria cretina”, realizzando anche lui di non dover più essere “carcerato” nel suo stesso luogo di lavoro: commovente questo confronto generazionale che anticipa di anni i successivi dibattiti sulla funzione rieducativa della pena.

Ed il film è dedicato proprio al piccolo Gennaro Capuozzo che morirà nel portare una bomba tra le linee tedesche. Ho letto tutto questo come la rappresentazione di un risveglio e penso che questa presa di coscienza corale da parte dei napoletani – prima indolenti e paurosi – sia stata poeticamente narrata come un moto spontaneo, privo di qualunque sovrastruttura ideologica: quasi un atto d’amore, per ristabilire quella promessa di riordino morale che l’Armistizio aveva fatto loro.

Ho pensato a Malaparte: “Nessun popolo sulla Terra ha mai tanto sofferto quanto il popolo napoletano. Soffre la fame e la schiavitù da venti secoli, e non si lamenta. Non maledice nessuno, non odia nessuno: neppure la miseria. Cristo era napoletano“.

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