CARLO LIZZANI. IL PARTIGIANO CON LA CINEPRESA

Autore fra i più seri del cinema italiano cui dette, dopo Achtung! Banditi! (1950) , quelle Cronache di poveri amanti (1954), dal romanzo di Vasco Pratolini, a buon diritto definite, nell’ambito del Neorealismo, « l’unico esempio di un racconto validamente inquadrato in una seria prospettiva storica. »

    Carlo Lizzani è sempre stato presente, con sensibilità e rigore, ai più palpitanti episodi di vita vissuta contemporanea, traendone occasioni felicissime, sia nell’ambito dei filone « civile », sia in quello della cronaca e della storia, da Il gobbo (1960), a Il processo di Verona (1963), a Banditi a Milano (1968), a Barbagia (1969). Nel 1974, conseguente con il cammino percorso, è tornato, dopo Il processo di Verona, ad un’altra pagina convulsa del nostro tempo, gli ultimi giorni di guerra, la fine del fascismo, Mussolini: ultimo atto, un film scritto in collaborazione con Fabio Pittorru.

Perché questo film, proprio negli anni Settanta?

    « Dire che avevo questo film nel cassetto da molto tempo e che ho trovato solo in questi ultimi anni il finanziamento necessario per farlo, significherebbe attribuire la nascita del film a cause accidentali. Certo, queste esistono. Qualche anno fa, era una follia proporre sceneggiature su aspetti della storia contemporanea. Soltanto dopo il successo commerciale di “Z” , cominciò ad aprirsi qualche spiraglio per il cinema politico. Inoltre, un film su Mussolini implicava un alto costo di produzione, perché non poteva non avere il background da film di guerra, con impiego, quindi, di masse, di armi, di automezzi oramai da museo. Ma il fattore di fondo è un altro. In questi ultimi anni, in Italia e in altri Paesi, alcuni strati dell’opinione pubblica, turbati dai cambiamenti profondi che la storia ha imposto o sta per imporre, angosciati da un vago senso di insicurezza, non restano insensibili – così come avvenne nel 1922 e durante la grande crisi del ’29-’30 – alle suggestioni di chi promette Ordine e Autorità, con formule semplici quanto demagogiche. Ora nessuno contesta il diritto di essere conservatori. Ma quando il conservatorismo, non trovando nel presente ideologie o fatti che lo suffraghino (e non avendo alle spalle, come in Inghilterra o negli Stati Uniti quella tradizione di democrazia che lo tempera e non lo fa uscire dal quadro tradizionale), quando il conservatorismo diventa pura e semplice nostalgia dell’unico modello autoritario, vissuto dal Paese, e ricerca dello Stato-Padre e dell’Uomo della Provvidenza, e incomincia a intaccare, presso strati non irrilevanti del ceto medio, la fiducia nella democrazia e nell’esercizio della libertà, allora è il momento di rivedere questo passato da vicino, di vedere se vecchi o nuovi modelli autoritari possono essere ancora ripetibili o proponibili.

    « Il mio film, raccontando gli ultimi giorni di Mussolini, ha offerto – lo spero – materia per questo bilancio storico oggi così urgente e necessario. Quegli avvenimenti dovrebbero ricordare quanto alto sia il prezzo da pagare – presto o tardi – quando si deleghi la difesa dell’ordine a questo o a quell’uomo della Provvidenza.

    « Fiducioso nella maturità del pubblico, ho articolato la materia come in un grande processo, senza anticipare il mio giudizio. Un processo nel quale hanno voce un po’ tutti. Ascoltando tutte le voci, il pubblico trae le sue conseguenze. Non si tratta naturalmente di un immaginario processo in un’aula, ma di quel dibattimento che realmente si svolse in quei giorni, dal 25 al 28 aprile 1945, a Milano, e lungo le strade che portarono Mussolini da Como a Menaggio, e poi a Dongo e a Giulino di Mezzegra. Parla Mussolini e parlano i capi della Resisterza (tra i quali Mattei, Pertini, Longo, Lombardi, Valiani, Marazza, Cadorna), parla Claretta Petacci, parlano i te.eschi, i partigiani, gli americani. Le accuse, le difese, le giustificazioni, le condanne sono riportate nel film con grande spregiudicatezza. Poche volte un avvenimento storico racchiuso in tempi così brevi e in uno spazio così limitato – i chilometri che vanno da Milano a Dongo – ha offerto tante chance di dibattito ideale e tante occasioni drammaturgiche e di suspense. Infatti chi dibatte sono, da una parte gli uomini in fuga, cioè Mussolini e il suo seguito, e dall’altra gli inseguitori, e cioè i partigiani, gli stessi tedeschi (che per ordine di Hitler non vogliono perdere il controllo su Mussolini), la missione del servizio segreto americano, che ne pretende la consegna in base ad una clausola vincolante dell’armistizio.

    « Da questo dibattimento e dalla conclusione (la condanna a morte di Mussolini) emerge l’affermarsi di una volontà. Autonoma che si sottrae sia agli obblighi dell’armistizio (“firmato – come dice un membro del CLN – nel ’43, due anni fa, quando l’Italia non avendo ancora un movimento di resistenza, non poteva avere voce in capitolo nemmeno nei suoi affari interni“) sia all’apparato difensivo creato intorno a Mussolini dalle forze occupanti naziste. Un momento unico, eccezionale, nella storia contemporanea del nostro Paese, e quasi incredibile se si pensa a quale peso avessero, nelle decisioni politiche italiane, i tedeschi occupanti da una parte, e dall’altra le Forze alleate. Il nostro potere decisionale era teoricamente a livello zero, in conseguenza della catastrofe bellica, ma a differenza della Germania, che fu smembrata e che dovette subire l’umiliazione di vedere condannati i responsabili della catastrofe da un tribunale internazionale, l’Italia poté elaborare attraverso il suo movimento di resistenza così largamente unitario (dai monarchici ai comunisti) una certa libertà di decisioni politiche. Il mio film cerca di evidenziare al massimo questo momento di indipendenza italiana dopo tanti anni di sudditanza ai tedeschi ».

Come collegheresti Mussolini: ultimo atto a Il processo di Verona?

    « Il processo di Verona coglieva il fascismo nel momento della sua massima soggezione al nazismo, nel momento in cui perfino lo spazio privato della famiglia (e la famiglia de duce!) è invaso e sconvolto dalla macchina politica che lo stesso Mussolini aveva messo in moto, cioè l’alleanza con Hitler. Quindi, Il processo di Verona e Mussolini: ultimo atto fanno parte di uno stesso discorso. Là c’è il prezzo pagato – per quell’asservimento a Hitler – dalla stessa famiglia del duce oltre il prezzo pagato da una nazione ma al tempo stesso, la ricerca, da parte della nazione – come dicevo prima – di un nuovo autonomo spazio politico. Del resto, dal lontano Achtung! Banditi! a Cronache di poveri amanti, a Il gobbo, in tutti i film, insomma, che mi stanno più a cuore, ho sempre cercato di mettere in luce quel momento in cui negli uomini, e nei giovani in particolare, scatta l’esigenza di decidere indipendentemente dal quadro autoritario tradizionale. Momento sempre drammatico perché spesso manca l’esperienza, spesso i riferimenti storici positivi sono lontani (la generazione che si maturava sotto il fascismo che ne sapeva della democrazia, del socialismo?), e i maestri sono soltanto i libri, o vaghe figure leggendarie sepolte nella clandestinità.

    «Tra i momenti più riusciti (credo) di Mussolini: ultimo atto, quelli che più mi hanno emozionato, mentre li giravo, sono i dialoghi tra i partigiani e Mussolini. Parole riprese da verbali, diari, memorandum, e quindi parole vere, pronunciate a caldo da giovani che il destino aveva portato improvvisamente a contatto con l’uomo che rappresentava il Potere, la Tradizione, l’Autorità, e che esprimevano tutto lo spirito di contestazione della generazione cresciuta sotto il fascismo e passata attraverso la resistenza. Emozionanti anche, per me, mentre le giravo, le scene in cui i partigiani discutono della sorte di Mussolini e della prassi da seguire. C’è una decisione storica d.a prendere in base al decreto di condanna de CLN. Ci sono gli americani che avanzano e potrebbero catturare Mussolini. Che fare? ».

Perché hai scelto Rod Steiger per la parte del protagonista?

    « Rod Steiger è un grande attore. A mio avviso aveva tutte le corde per coprire il ruolo di Mussolini, e per questo dopo lunghe riflessioni ed esitazioni (un attore straniero avrebbe potuto identificarsi in Mussolini?) la somiglianza fisica sarebbe stata almeno sufficiente?) decisi di prenderlo. Il risultato – lo hai visto – è stato soddisfacente. Inoltre le ragioni per cui si fa un film su Mussolini non sono di carattere nazionale. Riguardano un po’ tutto il mondo. Quindi volevo che anche il nome dell’attore mi aiutasse a diffondere il film in tutto il mondo ».

E il personaggio di Claretta Petacci?

    « È un personaggio drammaticamente importante perché porta lo spettatore nella sfera privata di Mussolini. Il film, comunque, non è la storia d’amore di Ben e Claretta e della sua tragica conclusione. Il racconto, costruito sulla base di una documentazione attendibile e di una inchiesta accuratissima fatta personalmente da me e da Pittorru, resta un racconto corale ».

Nei quattro giorni di quell’Ultimo atto c’è davvero tutto Mussolini?

    « Se, per paradosso, si immaginasse uno storico costretto a fare un ritratto di Mussolini in base soltanto ai documenti riguardanti quegli ultimi quattro giorni, io dico che quello storico potrebbe tracciare il ritratto di Mussolini. Uomo finito nell’aspetto fisico, Mussolini ripeté in quei giorni tutti i gesti della sua carriera. Rivisse con intensità, fino allo spasimo, tutto il suo amore-odio per i tedeschi e per Hitler. (Si sentiva tradito ma ne accettò fino all’ultimo la protezione). Fu ancora una volta l’uomo del compromesso (tentativo estremo di prendere contatto con l’odiato Churchill). Fu l’uomo del Diciannove (tentativo di socializzare le fabbriche all’ultimo momento e di passare il potere ai socialisti). Deciso esteriormente, ma sempre profondamente indeciso e allora a caccia di illusioni (le armi segrete di Hitler, un rovesciamento di fronte da parte degli anglo-americani contro i russi). Si, in quei quattro giorni c’è tutto Mussolini. »

Pubblicazioni di riferimento: 7 domande a 49 registi di Gian Luigi Rondi (SEI Ed.) , Cineforum (AA. e Nrr. VV.), Filmcritica (AA. e Nrr. VV.), Positif (AA. e Nrr. VV.), Chaiers du cinéma (AA. e Nrr. VV.), Bianco e nero (AA. e Nrr. VV.).

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