CARLA GRAVINA. IL LATO ENIGMATCO DEL CINEMA ITALIANO DEGLI ANNI 60/70

Parlare di Carla Gravina è abbastanza facile. La conoscono tutti i cinefili e la sua vita privata è stata spesso, molto spesso oggetto delle attenzioni dei quotidiani, dei rotocalchi degli anni Settanta. Chi c’era ed ha memoria sa e ricorda. Per questo, noi preferiamo affrontare questo profilo dell’attrice da un punto di vista diverso. Vogliamo cioè esaminarla puramente dal punto di vista artistico, dal suo esordio fino ai 70s, appunto, gli anni che l’anno resa celeberrima.

    Esaminiamo subito un film randomico con Carla Gravina, e cioè L’erede (1973), una produzione francese diretta dal regista Philippe Labro. Si tratta di un’opera interessante, divertente, costruita con un discreto senso dello spettacolo, e l’attrice italiana si trova pienamente a suo agio nei confronti dei grossi calibri francesi, come il protagonista Jean-Paul Belmondo. Perché Carla Gravina, non esitiamo a riconoscerlo, è un’attrice di sicuro talento, di ineccepibile professionalità. Non sarà stata forse la più bella o la più popolare delle nostre dive, ma di sicuro è l’unica che per molti anni è stata sulla breccia, sempre ad alto livello, senza cedere mai, senza accusare il minimo cedimento. E di prove impegnative, dobbiamo ammetterlo, ne ha sostenute.

    Ha avuto al suo fianco alcuni tra i celebri attori mondiali, e mai ha sfigurato. Basta ricordare la sua prestazione al fianco di Dustin Hoffman in Alfredo Alfredo (1971), l’ultimo film di Pietro Germi. Lei, Carla Gravina, recita la parte di una donna moderna, attaccata alla famiglia, certo, ma desiderosa di intraprendere la propria vita, a qualunque costo, anche a quello di andare a convivere con un uomo già sposato. Ora, il film di Germi non è certo un capolavoro, né tantomeno un’opera impegnata o rigorosa: è una commedia all’italiana, però dobbiamo ammettere che i duetti tra la Gravina e Hoffman contribuiscono in maniera forse decisiva a renderlo un film da rivalutare. Sono bravissimi, entrambi, in una serie di scene che avrebbero messo in crisi attori parimenti quotati: e questo è un merito che noi vogliamo pienamente riconoscere alla Carla Gravina. Del resto, la sua carriera non è certa avara di riconoscimenti.

    Possiamo già risalire al 1957, al film Amore e chiacchiere, per constatare che l’attrice è sempre stata sotto l’ala protettrice dei grossi nomi, degli autori più celebri – anche se non certo i migliori – del cinema italiano. Questo film, Amore e chiacchere, è un po’ quello che rivela il talento spontaneo e vivo dell’attrice, e dobbiamo far notare che insieme a lei recitano professionisti esperti come Vittorio De Sica e Gino Cervi. La regia, poi, è firmata da Alessandro Blasetti, da un copione di Cesare Zavattini. Davvero un avvio più che promettente per la carriera della giovane star. Un altro film viene interpretato da Carla Gravina, nello stesso anno. E qui si tratta di un eccezionale successo di pubblico e, al tempo stesso, di una delle pellicole più divertenti che il cinema italiano abbia saputo sfornare fino a oggi: I soliti ignoti (1958). La sceneggiatura è di Age e Scarpelli, con la collaborazione di Suso Cecchi D’amico e Mario Monicelli, che poi fungerà anche da regista. E il film affronta in maniera nuova e originale il filone della malavita, ritraendocela forse per la prima volta in chiave ironica, satirica, dando cioè vita a una serie di personaggi che sono più che altro criminali falliti, mezze tacche, gente piena di sogni e di speranze, ma incapace all’atto pratico di trasformare in realtà le proprie aspirazioni. Così, il colpo tanto accuratamente preparato si trasforma in una specie di grottesca disfatta. Il film ottiene un successo assolutamente eccezionale e, lo ammettiamo, lo merita appieno.

    Anche all’estero si conquista simpatie e riconoscimenti, e gli attori che ne sono protagonisti assurgono subito ai vertici della popolarità: Vittorio Gassman, Renato Salvatori, Marcello Mastroianni, Memmo Carotenuto, Claudia Cardinale e, naturalmente, Carla Gravina. Non possiamo dimenticare poi la stupenda, meravigliosa interpretazione fornita dall’inimitabile Totò, nel ruolo di una specie di “maestro dei ladri”, in una parte che culmina con l’indimenticabile sequenza della lezione sulla cassaforte.

    A questo punto, con due film di tanta fortuna alle proprie spalle, Carla Gravina può ritenersi arrivata, può giustamente pensare di essere riuscita a imporre la propria presenza e il proprio stile nel cinema italiano. E il suo successo è un po’ il trionfo della serietà e dell’impegno, perché Carla Gravina non è certo il tipo dell’attrice che si impone solo grazie ai mezzi fisici o a qualche parte scabrosa: no, Carla Gravina si è conquistata l’attenzione del pubblico dando incredibile vitalità e “presenza” a ruoli modesti di ragazze giovani, comuni, piene di speranze e anche un poco ingenue. Un merito davvero notevole, per un’attrice alle prime armi, almeno in fatto di cinema. Passiamo cosi al 1958. Carla Gravina non ha già più il problema di trovarsi un lavoro, una parte in cui esprimere il proprio talento. Adesso sono i produttori e i registi che la cercano, che le offrono ruoli e copioni. E lei, dobbiamo notarlo, dimostra di essere anche una donna intelligente, perché, invece di accettare qualunque cosa venga offerta, incomincia a praticare un’accurata cernita delle offerte, cercando nei limiti del possibile di evitare le parti già fatte, i ruoli ripetuti, sia per dimostrare la propria eccletticità che per evitare di cadere nel gruppo dei caratteristi di classe.

    Nel 1958 la vediamo comunque nel film Anche l’inferno trema, che non è un capolavoro e che non è nemmeno diretto da un grande regista, Piero Regnoli. Però la pellicola, per quanto modesta, si distingue per il talento che la Gravina, finalmente protagonista assoluta, riesce ad esternare in una parte impegnativa e difficile. Al suo fianco, c’è Franco Fabrizi. Il film non ha molta fortuna, ma serve per consolidare le quotazioni della Gravina, che continuano a salire. E, in effetti, l’altro suo film del 1958 conferma quanto l’attrice si stia ormai imponendo. Questa volta si tratta infatti di una grossa produzione, di un film diretto da un regista importante anche se non certo geniale. Il film si intitola Policarpo, ufficiale di scrittura (1959), è scritto da Age e Scarpelli, e l’operatore è il bravissimo Giuseppe Rotunno. Protagonista, per quanto oggi possa sembrare incredibile, è Renato Rascel, mentre intorno a lui gravitano attori di talento come Peppino De Filippo, Romolo Valli e, appunto, Carla Gravina. La storia è pietistica, la realizzazione mediocre, ma il film ottiene un certo successo e, per Carla Gravina, costituisce una tappa importante.

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