NELLO SPECCHIO DI MILWAUKEE

Esiste un crocevia molto frequentato nell’horror metropolitano, in cui la realtà della cronaca incontra l’immaginario. Da tempo le due dimensioni tendono a confondersi in un’unica area. Se la “narrativa di sangue” aveva uno sguardo attento alla cronaca, adesso è inaugurato un macabro revival di titoli tra i quali scorgere gli indizi che hanno anticipato l’orrore della realtà.

    Confermando “il dominio che può arrivare ad esercitare il romanzesco sul lettore”, di cui parlava Stephen King ai tempi di Misery. Il caso più eclatante è avvenuto in concomitanza con il processo di Jeffrey L. Dahmer, il mostro di Milwaukee, condannato a 15 ergastoli per avere ucciso, violentato e, in qualche caso, mangiato altrettanti giovani ragazzi. L’intera vicenda è stata sottoposta ad un accostamento maniacale, talvolta pedantemente filologico, alla “narrativa di sangue”.

    La città di Milwaukee, uno dei leggendari (e noiosi) paradisi della provincia americana, si è trasformata nel paradigma dell’intera società americana. A quello che era stato lo scenario ideale dei ragazzi di Happy Days si è sostituito un paesaggio cupo popolato di cadaveri, tanto da confonderlo con quello di una delle immaginarie città americane in cui Stephen King ha ambientato i suoi best sellers: Jerusalem’s Lot, Derry, Ludlow, Hawen o Gatlin, oppure l’ormai mitica Castle Rock. Inizia così la ricerca di una serie di macabre coincidenze sulla città di Milwaukee: era il luogo di origine del personaggio  principale del romanzo, capofila del genere «serial killer», La sciarpa (1947) di Robert Bloch, l’autore di Psycho (1959), il libro che ha ispirato il film di Hitchcock.

    Ancora più agghiaccianti appaiono le corrispondenze fra il profilo di Dahmer e quello del protagonista del romanzo Koko di Peter Straub che, uscito nel 1988 (prima, quindi , della scoperta del “mostro”), si è conquistato un tardivo successo in concomitanza con il processo. Nel libro di Straub l’assassino è originario di Milwaukee, come Dahmer; è un ex militare (reduce dal Vietnam, mentre Dahmer ha prestato servizio in Germania); proviene da una famiglia con antenati tedeschi (il suo cognome è Dengler e, come si nota, ha la stessa iniziale). Fino a sottolineare le somiglianze sotto il profilo della personalità, per cui Koko è sessualmente ambiguo (Dahmer è omosessuale) e mutila e seziona i corpi delle vittime (Dahmer è anche cannibale). Cos’è stato anche inevitabile paragonare le macabre preferenze gastronomiche di questo antropofago serial killer con quelle del dottor Hannibal Lecter, il “rarissimo esemplare di paranoico” protagonista de Il silenzio degli innocenti, il romanzo di Thomas Harris da cui è tratto il film di Jonathan Demme uscito proprio mentre si svolgeva il processo in un tribunale del Wisconsin.

    La presenza incessante di suggestioni provenienti dall’”immaginario horror” è confermata anche dalla pubblicazione in tempo reale di una storia dell’orrore a fumetti intitolata Biografia non autorizzata di un pluriomicida, realizzata da Hart Fisher, direttore della Boneyard Press, con in copertina un disegno realizzato da Dahmer. Il titolo pare scritto con il sangue. Le strisce raccontano gli incontri del protagonista con le sue vittime, l’uccisione e lo smembramento dei corpi. In definitiva, una speculazione che ha suscitato l’indignazione dei familiari delle vittime. A fine processo sul Daily Variety apparve un annuncio di vendita dei diritti cinematografici del libro The Jeffrey L. Dahmer case, scritto da Lawrence Gram, il giudice che aveva presieduto il processo al mostro di Milwaukee. La proposta ha suscitato solo l’interesse di un anonimo regista.

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