IL GOLEM, COME VENNE AL MONDO (1920) – CARL BOESE E PAUL WEGENER

Nel 1914 Henrik Galeen, coadiuvato da Paul Wegener, dirige la prima versione del film. In tale occasione, egli si rivolge allo scultore Rudolf Belling, il quale realizza una maschera di pietra da cui poi si sarebbe intravisto lo sguardo ipnotico degli occhi dello stesso Wegener. Questi, dopo aver interpretato e diretto una bizzarra versione nel 1917, il già citato Der Golem und die Tänzerin (t.l., Il Golem e la danzatrice), realizza nel 1920 il suo film più celebre, Il Golem – Come venne al mondo (1920), conosciuto anche come Bug, l’uomo d’argilla, co-diretto insieme a Carl Boese.

    La storia si ispira ad una leggenda medievale ebraica di origini tedesco-boeme già alla base del libro Der Golem scritto da Gustav Meyrink, pubblicato nel 1915. L’azione si svolge nel quartiere ebraico di Praga nella seconda metà del ‘500. Il rabbino Jehuda Löw (Albert Steinrück), scrutando le stelle, prevede una terribile tragedia che si abbatterà sul suo popolo: tutti gli ebrei verranno scacciati dal ghetto dall’imperatore Rodolfo II d’Asburgo (Otto Gebühr). Per evitare che ciò accada, Löw costruisce il Golem, una creatura umanoide fatta col fango. Usando la parola magica del demone Astaroth e applicando all’altezza del cuore della statua la stella di Davide, il rabbino dà vita ad un automa dalla forza immensa che obbedisce solo ai suoi ordini. Il rabbino porta il Golem alla corte di Rodolfo II per convincerlo a ritirare I’ordine di evacuazione. Nel frattempo Aasvero, I’Ebreo Errante, getta una maledizione e tutti a corte stanno per essere travolti dal palazzo che si sgretola; ma il Golem riesce a salvarli trattenendo la volta che sta per abbassarsi inesorabilmente verso il pavimento. Avendo salvato la vita all’imperatore, la creatura diviene il salvatore degli ebrei perché l’ordine di evacuazione viene revocato. Dopo che lo scopo è stato raggiunto, la stella di David viene tolta dal petto del Golem che così ridiventa un essere inanimato. Ma un malvagio assistente del rabbino (Ernst Deutsch) ridà vita al mostro che, rifiutandosi di tornare inerte, si infuria e distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino. Ma sarà fermato da una bimba che il mostro prende teneramente tra le braccia. Giocando con la stella di David, la bambina la stacca dal corpo del gigante e fa sì che esso torni ad essere una statua che crolla pesantemente a terra.

    Nella versione del 1915 Wegener mescola passato e presente, alternando la storia della creazione del Golem nel Medioevo e il suo rinvenimento in età contemporanea. Il Golem viene infatti rinvenuto durante gli scavi presso la sinagoga di Praga. Acquistato da un antiquario che gli dà la scintilla vitale, il mostro s’innamora della figlia del padrone. Non essendo corrisposto, si infuria e comincia a distruggere e ad uccidere. Alla fine precipita dall’alto di una torre rompendosi in pezzi proprio come una statua d’argilla.

    Come si può notare, in questa versione il Golem è una creatura il cui solo scopo è distruggere, mentre nella versione del 1920 il mostro non solo è utilizzato per scopi benigni rendendo possibile il riscatto del popolo ebreo oppresso, ma è capace anche di momenti di tenerezza. In questo preannuncia il Frankenstein del 1931 di James Whale in cui il mostro non indietreggia di fronte a nulla, ma si placa e si intenerisce solo quando incontra una bimba che coglie fiori. Il film del 1920 non è di netta impronta orrorifica come gran parte dei film espressionisti.

    La tendenza espressionistica è ravvisabile perlopiù nella scenografia, firmata da Hans Poelzig, che deforma esasperatamente gli ambienti e la messa in scena del mito del mostro. Inoltre la fotografia (curata da Karl Freund che dodici anni dopo dirigerà La mummia negli USA e per la Universal) non è tenebrosa e angosciante, ma più sfumata e morbida rispetto agli stilemi dell’espressionismo. Der Golem conserva ancora oggi un forte fascino derivante dall’efficace rievocazione di un tempo perduto che sfuma nel mito.

    Due i rifacimenti degni di nota: Le golem del 1936 diretto dal francese Julien Duvivier (in cui il mostro d’argilla è il simbolo della riscossa degli oppressi abitanti del ghetto) e quello del 1951, distribuito nel nostro Paese col titolo L’imperatore della città d’oro (Císaruv pekar – Pekaruv císar), realizzato dal boemo Martin Frič, nel quale il Golem simboleggia la minaccia atomica.

PINO BRUNI

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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