CURZIO MALAPARTE. I NODI IRRISOLTI DI UN PERSONAGGIO ECLETTICO

Curzio Malaparte fu un personaggio davvero eclettico: ufficiale di guerra, giornalista, saggista, romanziere. Ed anche regista: nel 1951 diresse, infatti, Il Cristo proibito, suo unico film, di cui curò anche il soggetto e la sceneggiatura.

    Siamo alla fine della seconda guerra mondiale: Bruno (Raf Vallone), dopo una pesante prigionia in Russia, torna nel suo paese natale, portando con se’ odio e rancore. Vuole a tutti i costi vendicare la morte del fratello partigiano, ucciso dai tedeschi a seguito di una soffiata.

    Mosso da un primordiale – quasi animalesco – istinto, egli si mette alla ricerca del delatore, ma la famiglia ed i compaesani – stanchi di ulteriori morti e rappresaglie – gli fanno muro.

    La vicenda comincia ad assumere connotati biblici: una sera, infatti, Bruno si confronta con il vecchio del paese, un caritatevole falegname, che tenta di spiegargli le ragioni del mutismo della gente.

    Di fronte al perseverare del protagonista, il falegname accusa se stesso, sacrificandosi al posto del colpevole: Bruno prontamente lo finisce, ma quando rientra a casa incontra la madre che, alla vista del sangue, si lascia sfuggire il nome del vero delatore. Questi, alla fine, sarà però risparmiato da Bruno che aveva già canalizzato il suo odio su un innocente.

    L’incontro, così intimo, con la madre – bravissima Rina Morelli – ha un sapore autobiografico: in Mamma marcia, Malaparte racconterà di aver confessato alla mamma morente il senso di colpa con cui conviveva per aver inferto, durante la guerra, il colpo di grazia ad un suo amato ufficiale, perché ferito a morte.

    La madre lo consolerà, riuscendo – come ne Il Cristo proibito – a sciogliere il nodo esistenziale del figlio.

    Questo film venne bocciato dalla critica di sinistra, la quale aveva forse intuito la conversione in atto nel regista: dopo essere stato fascista e comunista, Malaparte si avvicinerà, infatti, al cattolicesimo.

    Ed io penso che sia stata proprio questa spinta interiore a fargli rappresentare cinematograficamente un Cristo che deve essere imitato, con il sacrificio di un innocente che ristabilisce un ordine sociale.

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