ANGOSCIA (1944), O LO STRANO DRAMMA DI UN’AMANTE RECLUSA

Lentamente, lentamente, ogni sera la fiammella del lume a gas della camera da letto di Paula (Ingrid Bergam, Golden Globe e Oscar come miglior attrice protagonista nel 1945) diventa fioca fin quasi a spegnersi; con lo stesso adagio, giorno dopo giorno, il dubbio e la paura si insinuano nella sua mente, si traducono in crisi isteriche e attacchi di panico, arriva a credere di esser pazza per davvero.

    Con cinismo, calcolo, imperturbabilità, freddezza che solo in rare occasioni tracima nell’ira, Gregory Anton (Charles Boyer), mellifluo e mefistofelico pianista fallito, approfitta dell’amore e della fiducia che la sua giovane sposa ripone in lui, della sua ingenuità e fragilità, non perde occasione per svilirla, umiliarla, financo in pubblico e davanti alle domestiche: Elisabeth (Barbara Everest), la cuoca, e Nancy, la cameriera, interpretata da una giovanissima Angela Lansbury.

    Prigioniera nella sua stessa casa, ignara delle macchinazioni del marito, Paula accetta passivamente i rimproveri e le accuse che le vengono mosse, e, laddove si vede colpevolizzata ingiustamente e sembra voler reagire, finisce per soccombere e implorare il perdono. Dopo l’assassinio della zia, Alice Alquist, celebre soprano da cui ha ereditato le doti canore, Paula trova riparo in Italia dal maestro Guardi. Giovane promessa della lirica, rinuncia alla carriera per inseguire un sogno d’amore, quella felicità che fino ad allora la vita le aveva negato. Seduttivo e pieno di premure e attenzioni in principio, Gregory si rivela ben presto un abile manipolatore in grado di assoggettare a sé la moglie, la convince, dopo la luna di miele sul Lago di Como, a tornare a vivere proprio nella casa della zia, al 9 di Thornton Square a Londra, facendo leva sulla sua dipendenza affettiva e psicologica prima, quindi sulle sue paure e sensi di colpa. Fin da subito Gregory spegne ogni suo entusiasmo e iniziativa, per poi convincerla della sua tendenza a dimenticare le cose, la accusa di cleptomania e gesti insensati e irrazionali. A questo si aggiungono gli scricchiolii, preceduti dall’abbassamento della fiamma del lume, “gaslight”, che ogni notte Paula, sola in camera, sente provenire dalla soffitta, a cui Gregory accede da un abbaino, passando attraverso un appartamento disabitato sul retro, in cerca dei gioielli che la zia aveva ricevuto in dono dallo Zar di Russia.

    Grazie all’intervento di Brian Cameron (Joseph Cotten), detective di Scotland Yard, colpito dalla somiglianza di Paula con Alice, che si conquista la sua fiducia mostrandole un guanto appartenuto alla zia, si scoprirà che Gregory, il cui vero nome è Sergius Bauer, altri non è che l’assassino della zia, e che fin dal loro primo incontro in Italia, tutto era stato architettato allo scopo di potersi impossessare, finalmente, di quei gioielli dal valore inestimabile.

    Dopo mesi di soprusi, Paula si risveglia dal suo torpore e, rimasta sola, per un’ultima volta, con il marito, immobilizzato su una sedia, e ormai reso inoffensivo, ma che ancora una volta cerca di circuirla affinché lo liberi, gli vomita addosso tutta la sua rabbia; “Ti odio. Gioisco nel mio cuore senza un briciolo di pietà, senza un briciolo di rimpianto, ti guarderò andar via con il cuore che esulta!”.

    Sul finale, si ritroverà con Brian a guardare l’alba del nuovo giorno, preludio di un nuovo amore. Mentre il carnefice viene portato via, lei ripone nelle mani di un altro uomo la sua possibilità di riscatto e la sua felicità. Quel che può sembrare un lieto fine, è in verità l’ennesima sconfitta di una donna, che, in assenza del deus ex machina, avrebbe continuato a subire e vivere nel terrore. È il genere femminile tutto che viene svilito e sminuito, nella sua incapacità di prendere in mano le redini della propria vita, manovrate abilmente dal maestro marionettista, e nella sua condizione di inferiorità ancillare, frutto di un retaggio culturale ancora oggi attuale.

    Diretto sapientemente da George Deway Cukor nel 1944, Angoscia – tratto da un testo per la TV e terzo remake dopo l’omonima pellicola del 1939 (Gas Light, di Patrick Hamilton, autore della sceneggiatura) e del 1940 (Gaslight, di Thorold Dickinson) distribuito in Italia nel 1946 -, sarà seguito da almeno otto sequel. Presentato al Festival di Cannes nello stesso anno, premiato nel 1945 con l’Oscar per la Migliore scenografia (Cedric Gibbon e William Ferreri), nel 2001 è stato inserito tra i Primi cento migliori film thriller e horror di tutti i tempi dall’American Film Institute.

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ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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