ALBERTO LATTUADA

Alberto Lattuada (Vaprio d’Adda, 14 novembre 1914 – Orvieto, 3 luglio 2005) è stato un regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico italiano. Intellettuale dalla personalità eclettica, appassionato di letteratura, arte e fotografia, era noto soprattutto per aver trasposto sullo schermo molti celebri romanzi e alcuni colossal anche per il piccolo schermo. Nella sua lunga carriera ha scoperto e lanciato molte attrici come Marina Berti, Carla Del Poggio (divenuta poi sua moglie), Valeria Moriconi, Jacqueline Sassard, Catherine Spaak, Dalila Di Lazzaro, Teresa Ann Savoy, Nastassja Kinski, Clio Goldsmith, Barbara De Rossi e Sophie Duez.

Alberto Lattuada fu meno pronto e duttile al mercato cinematografico se lo si confronta con Federico Fellini, ma il suo contributo al cinema italiano rimane di primo piano nella storia della cultura.

Nell’immediato dopoguerra Lattuada si avvicinò al neorealismo con Il bandito, girato in una Torino devastata dai bombardamenti e dove sbandiera apertamente il suo amore per il cinema americano e in particolare quello della gangster-story sullo stile di Scarface. Su quel set debuttano in una parte drammatica la moglie, Carla Del Poggio, da lui sposata il 2 aprile 1945 (da lei avrà due figli, Francesco, futuro direttore di produzione di fiction televisive, e Alessandro) e la sorella Bianca Lattuada come segretaria di edizione. Il film successivo, Il delitto di Giovanni Episcopo, tratto da D’Annunzio, si allontana da qualsiasi filone o corrente per iniziare a seguire la sua poetica base (l’individuo senza scrupoli in contrapposizione con una società inerte e indifferente a tutto) con maniacale puntiglio, organizzando alla perfezione scenografia e recitazione. In questo film si segnala in particolare quella di Aldo Fabrizi. Nel 1948, traendo suggestioni anche dal cinema francese, realizzò, nella Pineta del Tombolo, insieme a Tullio Pinelli e Federico Fellini il celebre Senza pietà, descrizione di un paese in rovina dove, con gli aiuti americani sbarcano violenza, contrabbando e malavita.

Del 1949 è Il mulino del Po, tratto dal romanzo più famoso di Riccardo Bacchelli (che collaborò anche alla sceneggiatura). Curò la regia di Didone ed Enea di Henry Purcell al Teatro dell’Opera di Roma e, insieme a Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Carlo Lizzani ed Elsa Morante, cominciò a progettare una serie di pellicole su temi scottanti come l’emigrazione, la speculazione edilizia, il sistema carcerario. Le pressioni della casa di produzione che sceglierà poi di realizzare un film sul concorso di bellezza di Miss Italia e sul mondo dei fotoromanzi lo spinsero a fondare una cooperativa insieme alla moglie, a Fellini e alla Masina, e a realizzare in totale autonomia Luci del varietà, spaccato sul rutilante mondo dell’avanspettacolo, al quale collaborarono anche il padre e la sorella. Il film però si rivelò un disastro finanziario.

Con il film successivo, Anna, Lattuada realizzò il suo più grande successo, grazie a protagonisti del livello di Silvana Mangano, Raf Vallone e Vittorio Gassman, e grazie a una canzone, El Negro Zumbón (ricavata da un vecchio standard ballabile cubano), che diventò un successo discografico mondiale. Riprendendo qualche tematica già presente in Riso amaro di Giuseppe De Santis, fornì più di uno spunto al successivo Mambo di Robert Rossen. Fu la prima pellicola italiana a incassare oltre un miliardo di lire nelle prime visioni e la prima ad essere presentata doppiata in inglese negli Stati Uniti. Il successo gli consentì di realizzare, nel 1952, una delle sue opere più importanti, Il cappotto, dal racconto di Gogol, girato a Pavia con protagonista Renato Rascel, uno dei primi film a svincolarsi definitivamente dal neorealismo dove realtà e fantasia coesistono alla perfezione.

Nella pellicola La lupa, tratto dal celebre racconto di Giovanni Verga, Lattuada continuò il viaggio d’osservazione del corpo e della sessualità femminile che lo accompagnerà, tranne qualche eccezione, in tutta la sua filmografia. Nei film di Lattuada, la forza della figura femminile rende per la prima volta esplicito l’aspetto della sottomissione dell’uomo, il quale di contro tende sempre al raggiungimento di un suo fine senza avere scrupoli morali: la proprietà, il denaro, il delitto e la vendetta. Con l’episodio Gli italiani si voltano, inserito in L’amore in città, Lattuada si fermò ad esaminare con la tecnica della candid camera il fenomeno del gallismo” maschile. La spiaggia è antesignana della commedia di costume, critica feroce dell’ipocrisia borghese. Scuola elementare si basava sui desideri economici e di donne di un maestro e di un bidello, Billi e Riva, ma era anche una sorta di omaggio alla figura del padre che era stato maestro elementare.

Nel dittico Guendalina e Dolci inganni, il regista seguiva la trasformazione sentimentale e sessuale di due adolescenti, interpretate rispettivamente da Jacqueline Sassard e Catherine Spaak. A esse si contrappongono i kolossal La tempesta e La steppa tratti dai prediletti autori russi, Puškin e Čechov. Gli anni Sessanta furono caratterizzati da trasposizioni di opere letterarie di Guido Piovene, Lettere di una novizia; Niccolò Machiavelli, La mandragola; e Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia; fino a giungere a Venga a prendere il caffè da noi (Nastri d’Argento 1971: premio miglior sceneggiatura), tratto dal romanzo La spartizione di Piero Chiara, satira di una certa borghesia provinciale ipocrita e sessuofobica, interpretato da Ugo Tognazzi.

Nel 1970 Lattuada ebbe la sua seconda esperienza come regista lirico inaugurando il Maggio Musicale Fiorentino con La Vestale di Gaspare Spontini e fu inoltre componente della giuria del Festival internazionale del cinema di Berlino. Dopo due pellicole frutto di evidenti compromessi, Bianco, rosso e… con Sophia Loren, quasi un remake di Anna, e Sono stato io!, dove Giancarlo Giannini, un anonimo lavavetri, immagina un gesto clamoroso che lo porti sulle prime pagine dei quotidiani, Lattuada, dal 1974 volle trattare la tematica dell’erotismo a partire da Le farò da padre e proseguendo con Oh, Serafina! da un romanzo di Giuseppe Berto, Così come sei sul tema dell’incesto, fino agli ultimi suoi due film per il grande schermo, considerati artisticamente due fallimenti, La cicala e il tardo Una spina nel cuore, nuovamente tratto da Piero Chiara.

Nel 1981 iniziò a dirigere Nudo di donna che dovette abbandonare quasi subito a causa di dissapori con l’attore protagonista, Nino Manfredi, che finì pertanto per dirigere sé stesso. Durante gli anni Ottanta Lattuada firmò tre lavori per il piccolo schermo: il colossal di successo Cristoforo Colombo, l’intensa miniserie Due fratelli e il mediometraggio Mano rubata, tratto da un racconto di Tommaso Landolfi, che esplora il mondo spietato del gioco d’azzardo. Nel 1994 fece una simpatica apparizione nel film Il toro, diretto da Carlo Mazzacurati, e quattro anni dopo donò tutto il suo materiale d’archivio alla Fondazione Cineteca Italiana di Milano, diretta all’epoca da Gianni Comencini.

Morì a novant’anni nella sua casa di campagna a Orvieto (Terni), il 3 luglio 2005, affetto da tempo dalla malattia di Alzheimer.

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

GALLERIA FOTO